Di: Sergio Palumbo

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One record One Book: è questo il nome dell’originale collana della Sublime Label, la cui filosofia è dedicare un volumetto a ciascuno dei dischi più importanti della storia della musica pop e rock. E, tra questi, non poteva mancare almeno un disco dei Beatles. E quale? Beh, si poteva scegliere il più glorioso della loro storia, Sgt. Peppers, ma sarebbe stato troppo facile. No, la scelta coraggiosa di Steve Matteo è stata un’altra: indagare, esaminare, sviscerare tutto ciò che portò alla registrazione del disco più controverso, più incompleto, più contraddittorio e più devastante della storia del Beatles: Let it be. Let it be: il canto del cigno del celebre quartetto di Liverpool, il preludio e per certi versi anche la causa del loro scioglimento.

L’idea originaria era piuttosto diversa dal risultato finale: il progetto, inizialmente denominato Get Back, doveva essere un “ritorno alle radici” dei Beatles, a quel rock n’ roll dei primi anni in cui suonavano dal vivo al Cavern o nel tour tedesco. Lasciare da parte le innumerevoli sovraincisioni, gli artifici in studio, gli esperimenti che sempre più la facevano da padrone nei precedenti album per tornare ad un suono più grezzo ma decisamente più sincero e veritiero: “Get back to where you once belong”. All’idea del disco subito si affiancò l’idea di un film-documentario sul making dell’album e sul concerto che erano in procinto di tenere: dopo circa cinque anni dall’addio alle scene, i Beatles volevano tornare sul palco e volevano che fosse un evento speciale. Fino all’ultimo non fu chiaro dove volessero fare questo concerto. All’inizio doveva tenersi in un anfiteatro romano in Tunisia, ma poi è la storia a raccontarci dove si tenne: sul tetto della Apple, al numero 3 di Savile Road, Londra. Era il 30 gennaio del 1969, data entrata nella storia della musica.

Steve Matteo ci racconta dei vari tentativi di far uscire il disco Get Back, dei dischi abortiti compilati da Glyn Johns e ripercorre il processo che portò i tape tra le mani di Phil Spector, che produsse il disco in modo decisamente controverso: amato e odiato dal pubblico dei fans, apprezzato da John Lennon e da George Harrison (che continuarono a collaborare con lui) e decisamente disprezzato da Paul McCartney, che non ha mai sopportato l’arrangiamento maestoso della sua The Long And Winding Road. Nel frattempo, i Beatles avevano ritrovato la voglia di un disco in studio, lontano dalle telecamere, e diedero vita, partendo principalmente da molto del materiale registrato durante le prove per il film, all’intramontabile disco Abbey Road. Il disco Get Back non uscirà mai, verrà accantonato e diventerà, tra le mani di Spector, Let it be. E con quel disco finivano i tempi dei Beatles, finivano definitivamente gli anni Sessanta e si dava inizio a carriere solistiche dall’alterno destino e dall’alterno successo. Finiva un’epoca.

Il libro di Steve Matteo è una vera e propria chicca per tutti gli appassionati di Beatles e di musica in generale: ripercorre in modo meticoloso uno dei periodi più bui ed al tempo stesso più significativi di questo gruppo che è il vero e proprio crocevia della musica pop e della musica rock dagli anni Sessanta ai giorni nostri. Nessuno può davvero comprendere la musica degli ultimi anni dei Beatles e di buona parte della loro carriera solistica se non ha ben chiare le vicissitudini della lavorazione di Let it be. Solo conoscendo tali avvenimenti è possibile scoprire le personalità forti e spesso ingombranti dei singoli membri del gruppo. Solo così è possibile scoprire qual è la causa del particolare fascino di un disco incompleto, dalla storia infinita (si pensi che nel 2003 è uscito Let it be… naked, rivisitazione del disco, con depurazione dall’opera di Spector, e deve ancora uscire la rivisitazione del film) come Let it be e dell’interminabile incanto di un disco come Abbey Road. Questa magia è ben descritta ed immortalata dall’abilità espositiva di Steve Matteo.

Link: il sito di Sublime Label – www.sublime-label.com