Di: Patrizia Andriola

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Il 23 maggio 1992 i mafiosi brindarono alla morte di Giovanni Falcone, nemico numero uno di cosa nostra, ucciso con un potente ordigno assieme alla moglie Francesca Morvillo e a tre agenti della scorta, lungo l’autostrada che dall’aeroporto di Punta Raisi conduce a Palermo. A 15 anni di distanza dalla stage di Capaci le sorelle del magistrato, Anna e Maria Falcone, per la prima volta raccontano il privato del simbolo dell’antimafia. Non senza discrezione: su questioni puramente personali, come per esempio l’ipotetica scelta del magistrato e della sua consorte, di non mettere al mondo figli, per non crescere dei potenziali orfani, Anna Falcone afferma di non averne mai parlato con il fratello Giovanni e sua moglie. Illazioni, notizie vere, fantasie, … non si sa. Nel libro “Giovanni Falcone, un uomo normale”, Leone Zingales racchiude le conversazioni con Maria e Anna Falcone, sorelle del magistrato Giovanni Falcone. Ne scaturisce un ritratto inedito, accompagnato dalle foto dell’album di casa, che mostrano un uomo che amava il mare, le sigarette, che aveva una grande fiducia nelle sue possibilità e che, con una forza di volontà fuori dal comune, è andato incontro al suo destino, perché come egli stesso affermava: “Si vive una volta sola”. Anna Falcone racconta aneddoti, preoccupazioni, speranze e illusioni vissute negli anni in cui è stata una delle sorelle del giudice più scortato d’Italia. Le rimpatriate di famiglia, i pranzi e le cene dove non doveva mancare la torta alle fragole (il dolce preferito di Giovanni), dei litigi all’epoca della loro adolescenza, e della condanna a morte del magistrato a seguito dell’istruzione del maxiprocesso nell’aula bunker dell’Ucciardone.

Erano gli anni ’80 e il magistrato cominciò a vivere blindato, con una superscorta, perché mai era accaduto che i capimafia venissero non solo incriminati, ma addirittura condannati in un processo, con una città, Palermo, divisa a metà: c’era chi sosteneva la lotta alla mafia e chi invece era indifferente o addirittura infastidito nell’assistere alla battaglia per la legalità. E la sorella Maria Falcone si sofferma infatti sull’isolamento cui fu sottoposto Giovanni, avversato sia per invidia e gelosia, sia ovviamente, da una certa politica inquinata o da certi magistrati e giudici poco trasparenti. Ma Giovanni non guardava in faccia a nessuno, e tirava avanti per la sua strada con l’entusiasmo del primo giorno. Era innamorato del suo lavoro. Ma Anna, se potesse, rivolgerebbe al suo caro fratello la domanda: “Ne valeva la pena?”. Tuttavia, per la sorella Maria è la speranza in un mondo senza mafia che dà la forza di continuare. Non solo parole ma fatti. La lotta alla mafia passa per l’educazione alla legalità, a tutti i livelli, ma destinata soprattutto ai giovani. Ciò è al primo punto dello statuto della Fondazione “Falcone”, ideata da Maria Falcone, che partecipa a dibattiti, convegni, incontri che si svolgono in ogni parte della Penisola, sempre pronta a riversare nei giovani fiumi di speranza e di legalità. Accanto al portone d’ingresso dello stabile in cui abitavano Giovanni Falcone e Francesca Morvillo si trova l’albero “Falcone”, un maestoso albero di ficus dove il 23 maggio di ogni anno, si svolge l’atto finale delle manifestazioni per ricordare la strage di Capaci. Esso è divenuto il simbolo della lotta alla mafia ed è probabilmente la prova di un’innegabile reazione degli animi: raccoglie biglietti e disegni di gente e studenti, per i quali è sicuramente vivo il motto “Le loro idee cammineranno sulle nostre gambe”, frase scritta su un drappo ancora esposto sull’albero, che si riferisce al ricordo di Falcone e del suo inseparabile compagno di lavoro e amico Paolo Borsellino. Il libro riporta in appendice una breve storia del magistrato ed alcuni suoi discorsi tenuti in occasione di convegni e conferenze cui egli partecipò, e infine, una scheda sintetica di alcuni boss ed indiziati mafiosi per i quali il giudice Giovanni Falcone ha speso le sue energie, ovvero la sua vita.

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