Di: Sergio Palumbo

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Cosa accadrebbe se, per una concomitanza di fenomeni fisici al limite della comprensione umana, i morti si svegliassero, abbandonassero le tombe e i sudori e si aggirassero per la città o tornassero nelle loro case? L’ipotesi sconvolgente diventa l’impalcatura di una vicenda che Lindqvist racconta con un pathos di particolare intensità perché, oltre che costituire materia dei nostri più paurosi incubi, l’idea ci rimanda alle riflessioni più drammatiche sul significato della morte, che è anzitutto dolorosa separazione dalle persone care. Così non ci stupisce che un uomo, resosi conto di ciò che sta accadendo, corra a estrarre dalla fossa l’adorato nipotino, morto in un drammatico incidente, e faccia di tutto per sottrarlo alle preoccupate misure delle autorità, che non sanno come affrontare e contenere lo straordinario fenomeno. Ma può davvero la vita come noi la intendiamo, flusso di emozioni, pensieri, sentimenti che costituiscono quel quid misterioso che chiamiamo anima, rientrare in quei corpi devastati dalla incipiente dissoluzione? L’amore dei sopravvissuti può davvero forzare i limiti imponderabili che separano le due sfere? Questa illusione non può che generare altro dolore e altre morti. Il cuore di una madre lo capirà: meglio lasciare in pace i morti che vivono comunque in noi, nel nostro ricordo, nel nostro amore.

Il ritmo incalzante della narrazione, la violenza emotiva di certe immagini, l’efficacia descrittiva dei particolari più sorprendenti catturano il lettore e lo lasciano col fiato sospeso dal principio alla fine, con l’ansia di scoprire una verità che riconcilii l’uomo con il suo insondabile destino di essere mortale.

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