Di: Alessandra Staiano

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Irresistibilmente sgangherato. Irrimediabilmente inconcludente. Nel senso che a una conclusione, anche convincente, magari lui ci arriva pure, ma soltanto dopo essersi perso attraverso tante e tali divagazioni mentali che di quella conclusione minano qualsivoglia efficacia e compattezza logica. E allora esserci arrivati non serve a nulla o quasi. Vincenzo Malinconico, l’avvocato di insuccesso partorito dalla penna di Diego De Silva, una delle figure meglio tratteggiate nella letteratura italiana degli ultimi anni tanto da essersi guadagnato l’affetto di molti lettori. Che ne attendevano da tre anni il ritorno dopo il battesimo di “Non avevo capito niente”.

Malinconico torna e nuovamente si ritrova, suo malgrado, al centro di un processo a cui mai avrebbe immaginato di partecipare se fosse stato solo per la sua fama e non per uno strano scherzo del destino. Ma il processo stavolta non si svolge in un’aula di giustizia, ma davanti alle telecamere a circuito chiuso di un supermercato, le cui riprese vengono rilanciate dalle tv locali e nazionali. Processo mediatico, dunque. Processo improvvisato e messo in scena (o meglio messo in onda) dall’ingegnere Romolo Sesti Orfeo che sequestra il camorrista, reo di avergli ucciso il figlio per averlo scambiato per un altro. Una di quelle morti assurde e atroci che si guadagnano poche righe nelle cronache locali per scomparire rapidamente dalla memoria collettiva. Oblio intollerabile per chiunque, figurarsi per un padre, tanto più che l’assassino può permettersi di aggirarsi tranquillamente tra il bancone frigo e gli scaffali del supermercato.

Il sequestro, il processo, la popolarità acquisita inaspettatamente ma meritatamente da Malinconico offre a De Silva l’occasione di dipingere con pungente precisione e lucido sarcasmo i meccanismi dell’informazione locale e nazionale, la loro superficialità e profonda banalità, fatta di luoghi comuni cui sembra impossibile sfuggire”. Se in “Non avevo capito niente” la categoria degli avvocati veniva fatta a pezzi, stavolta sono i giornalisti a uscirne con le ossa rotte. Mentre il processo celebrato nelle aule di giustizia viene salvato proprio dall’arringa di Malinconico.

Alla vicenda principale si intreccia la storia personale in un’alternanza di capitoli che rende ben movimentata la lettura. La storia con Alessandra Persiano sta sfumando, l’ex moglie Nives è sempre più insopportabile pronta com’è a dire sempre come dovrebbero comportarsi gli altri, spesso spalleggiata dai figli. Ma, soprattutto, la suocera Ass scopre di essersi ammalata di cancro. E’, dunque, lei il personaggio più debole? Macchè! Con la sua assoluta concretezza è proprio la suocera a riportare Vincenzo coi piedi per terra, smascherandone velleità e vanità e diventando l’unica persona che riesce a capirlo davvero. Il loro rapporto è di perfetta reciprocità e si muove al di là di qualsivoglia retorica o schema precostituito, se è vero com’è vero che sarà proprio il genero Vincenzo a volere, scoprire, incoraggiare il fatto che la suocera beva. 

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