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4 | 9 dicembre 2012 alla Galleria Toledo di Napoli

Progetti Dadaumpa | Pierfrancesco Pisani

ANGELICA

di e con Andrea Cosentino

regia Andrea Virgilio Franceschi

collaborazione alla drammaturgia e alla messa in scena Valentina Giacchetti

Questo spettacolo conclude un dittico: L’asino albino era uno spettacolo sul tempo che passa, angelica è un lavoro sulla morte. Non è previsto un seguito.

Comunque.

Entrambi sono un tentativo di parlare del presente. A chi c’è. Accettando fino in fondo ciò che il teatro è: un monumento effimero.

Come al solito non c’è storia. Ogni tentativo di abbozzarne una sfiora la retorica e scivola nel ridicolo. C’è semmai – come e più del solito – il gusto di smontare le storie. Ne l’asino albino raccontavo uno spettacolo, l’impossibilità del suo farsi che scivolava in una epifania derisoria e tragica, in una apparizione invisibile per eccesso di luce. In angelica tento di entrare nei meccanismi stessi della mitopoiesi, prendendo a pretesto una sua manifestazione degradata: il mondo delle fiction televisive.

Ci sono dunque degli ingredienti, dei brandelli di dialoghi e situazioni abbozzate. Una troupe che sceglie di girare uno sceneggiato televisivo in una casa di un quartiere popolare romano; un’attrice – Angelica appunto – che continua a recitare la propria morte, fino allo sfinimento. Ciò che si ripete in teatro ci fa ridere. Perché è il passato che pretende di ritornare come niente fosse.

Ci sono delle immagini – poche – che mi faccio carico di scuotere sul loro asse per ottenerne un alone di movimento: l’icona di un papa tremante che fende la folla giubilare sulla sua papamobile, il ricordo della statua della Madonna portata in processione nel giorno del venerdì santo a Chieti. E’ la dialettica sacro/dissacrazione come le due facce di una stessa aspirazione. O il rovescio bifronte di un medesimo vuoto.

Non c’è storia. Ma c’è una concessione al bisogno di tirare avanti. Una trama. Ed è quella dello sceneggiato ricostruito in scena senza ausili tecnologici, ma utilizzando la cornice vuota di ciò che fu un televisore, e parrucche e primi piani e piani interi e bambole e pezzi di oggetti e dettagli di corpi. Si tratta innanzitutto di mimare con la povertà di mezzi scenici la povertà di un linguaggio. Farsi doppio parodico del linguaggio standardizzato del racconto televisivo. Ma c’è anche altro.

Pasolini scriveva che materia del cinema – dell’audiovisivo – è il pianosequenza come presente assoluto. E’ il regista che selezionando e tagliando e montando tra loro pezzi di presente dà loro un senso. Creando nessi. Facendone materia di narrazione, cioè storia. Dunque passato. Però mi chiedo: come può il presente raccontarsi a se stesso?

Io tento di installarmi nei tagli del montaggio, di dilatare i nessi, creare gioco tra i giunti; voglio disincantare l’impostura ipnotica dei raccordi narrativi, far emergere ludicamente il nonsenso che fa da sfondo alla costruzione del senso.

Aggiungeva Pasolini che come il montaggio dà senso al cinema, così la morte dà senso alla vita. Però mi chiedo: cos’è che dà un senso alla morte?

Se non c’è storia dovrà esserci da ridere. E’ ciò che credo di avere imparato dal teatro popolare, dalla cultura dei subalterni. Di coloro che, ben prima di noi smarriti postmoderni, hanno dovuto imparare a vivere senza il sostegno di un passato né prospettive di futuro. E’ il senso profondo dell’intrattenimento. Perché va bene la denuncia e la memoria e la controinformazione e il mondo a capinculo. Ma innanzitutto esserci. Qui e ora. Comunque.

Andrea Cosentino

Andrea Cosentino Attore, autore, comico e studioso di teatro. Tra i suoi spettacoli ‘La tartaruga in bicicletta in discesa va veloce‘, il ‘dittico del presente’ costituito da L’asino albino e Angelica (i cui testi son pubblicati in Carla Romana Antolini (a cura di), Andrea Cosentino l’apocalisse comica, Roma, Editoria e spettacolo, 2008), Antò le Momò-avanspettacolo della crudeltà e Primi passi sulla luna. In questi ultimi lavori si avvale della collaborazione registica e drammaturgica di Andrea Virgilio Franceschi e Valentina Giacchetti. Le sue apparizioni televisive vanno dalla presenza come opinionista comico nella trasmissione AUT-AUT (Gbr-circuito Cinquestelle) nel 1993 alla partecipazione nel 2003 alla trasmissione televisiva Ciro presenta Visitors (RTI mediaset), per la quale inventa una telenovela serial-demenziale recitata da bambole di plastica. E’ promotore del PROGETTO MARA’SAMORT, che opera per un’ipotesi di teatro del-con-sul margine, attraverso una ricerca tematica, linguistica e performativa sulle forme espressive subalterne.

ANGELICA

Estratto dalla rassegna stampa

E’ ormai evidente che si sia creata una corrente, ancora non riconosciuta, di giovani artisti teatrali che sembrano voler fornire un’antitesi divertita e astratta, sconnessa e grottesca all’ormai troppo celebrato teatro di narrazione. Andrea Cosentino è uno di questi nuovi personaggi della scena, da andare a vedere, accettando di restare avviluppati da quel suo procedere apparentemente disarticolato e invece strutturato sottotraccia da spirali acutissime di riflessione mai portate troppo alla luce, giocate tutte con lucidissima ironia, spesso con decisa e esilarante comicità. E questi sono solo alcuni dei meriti di Angelica, scritto dallo stesso interprete, portato in scena con la collaborazione registica e drammaturgica di Andrea Virgilio Franceschi e Valentina Giacchetti, ripresentato a Roma in questi giorni e incluso nel prestigioso calendario de <Le vie dei festival> (…) Dunque una cavalcata, in solitaria, tutta di parole, ma con la dichiarazione esplicita di non volere e non saper costruire storie, esponendo invece un assemblaggio di immagini e microsituazioni che non arrivano mai a fare racconto. … Serpeggia dunque, tra i tanti temi, un interrogativo sulla morte e sulle sue immagini, citando Pasolini, una volta tanto a proposito.

Antonio Audino Il Sole-24 Ore

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Un fiume in piena, irrefrenabile, Andrea Cosentino nel suo nuovo monologo ‘Angelica’. (…) ‘Angelica’ è un assolo che non dà tregua sia all’interprete che allo spettatore, impreziosito da battute fulminanti e da un testo che pur non rinunciando al divertimento spesso si fa veicolo di più sofferte e inquietanti tematiche. Una sequenza di frammenti che ciclicamente si ripetono, una montagna di parole incanalate secondo scansioni ricorrenti che corrispondono a diverse storie che scorrono parallele e a volte si intersecano. (…) Cosentino gioca con la realtà e la finzione televisiva con un lavoro di montaggio quasi cinematografico, incarna ogni personaggio e condisce il tutto con ricordi personali, con spiazzanti fuori programma in cui trovano posto le processioni del venerdì santo a Chieti con la Madonna che oscilla pericolosamente, un vecchio Papa malandatissimo a cui lanciano bambini che si spiaccicano sui vetri della papamobile e un’arzilla e loquace vecchina che presta la propria verace casa romana per le riprese della fiction. <Un lavoro sulla morte> afferma l’interprete e chiama Pasolini a testimoniare come essa dia senso alla vita chiedendosi però, a sua volta, cosa invece dia senso alla morte stessa. Tra Barbie, scheletri di televisori, parrucche biondissime e improbabili e varia paccottiglia ‘Angelica’ diverte e fa pensare.

Nicola Viesti Hystrio

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“Io di storie non ne conosco”. Se non proprio controcorrente, Andrea Cosentino va in contro-tempo: nell’era dei narratori, a chi, sul frugale palcoscenico della sua “Angelica”, gli chiede un racconto risponde con qualche aneddoto di quartiere – un “trancio di vita” – che poi non riuscirà a concludere, ma che puntualmente riprenderà in una comica spirale. È il suo modo di ordire, passando di voce in voce, uno “spettacolo di spettacoli” che con una mano si scrive e si mette in scena, con l’altra si cancella e ricomincia da capo, ammassando una sull’altra maschere e digressioni fino a un puntiglioso, ma improbabile, scioglimento finale. Se si limitasse a questo, però, “Angelica” non farebbe che riconfermare le ben note doti performative del suo autore-attore: Andrea Cosentino è uno straordinario “imitatore di voci”. E invece, basta un altro slittamento sulla china scoscesa di uno spettacolo dove persino le pause sono ironicamente comprese nell’ambiguo respiro della finzione (recitando la parte di uno che fuma nell’intermezzo, Cosentino fuma sul serio alla faccia del pubblico inchiodato alla sedia) per intravedere il vero cuore dell’impresa. Che no, non è (solo) il racconto impossibile, perché lacerato dalle interruzioni e dai ripensamenti, ma addirittura un saggio: un breve saggio di Pier Paolo Pasolini dedicato al piano-sequenza, al montaggio e alla morte. (…) La morte che pur decide e da’ forma alla vita, la morte che nel montaggio cinematografico organizza la fluida irrappresentabilità della vita – il suo piano sequenza tendenzialmente illimitato – è, a sua volta, inenarrabile. ……….

Attilio Scarpellini Lettera 22

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Artista tra i più interessanti degli ultimi anni, nei suoi monologhi Cosentino intreccia storie che si aprono in continuazione senza mai concludersi, dando vita a una spirale metanarrativa, carica di una comicità trasversale e intelligente, perla rara in un panorama come quello odierno, in cui nella contrapposizione tra l’evasione nazional-popolare e l’impegno monolitico resta assai poco spazio a chi cerca di raccontare la contemporaneità con acume e leggerezza. (…) Se «L’Asino albino», a detta del suo autore, è uno spettacolo sul tempo che passa, «Angelica» è invece uno spettacolo sulla morte. La morte mediatica di Giovanni Paolo II, su cui Cosentino – invitato a partecipare a una manifestazione di narrazioni su Roma in cui «c’è anche Ascanio e la Curino» – pensa di lavorare, restando ancora una volta invischiato in una infinità di incipit ripetuti in italiano, gramelot, inglese maccheronico, senza incappare neppure nella possibilità di una conclusione. Ma la morte di questo papa-marionetta-bebè che si affaccia da una carrozzina, storia che si incrocia con quella del bebè lanciato dalla madre del racconto in cerca di una benedizione e con quella della personale ricerca della paternità del narratore, crea un ulteriore cortocircuito con un’altra morte. Quella, anch’essa mediatica, di Angelica, attricetta di una soap, costretta a «morire» un’infinità di volte finché la scena non riesce e il regista può dire finalmente «è morta bene».

Cosentino è un abile manovratore di maschere: i suoi personaggi-macchietta, resi con poco più che una «vocina» e una postura caricaturale, tornano di spettacolo in spettacolo – come il romano ossessionato dalle sigarette, presente anche ne «l’Asino albino», o la vecchina abruzzese due volte spettatrice della soap: in tv e a casa sua, affittata come «location» per le riprese, e per questo già sa che «lei alla fine muore».

Graziano Graziani Carta

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Andrea Cosentino (…) ha avuto un processo di maturazione e di raffinazione scenica che me lo fa apparire, oggi, come uno dei più intelligenti e divertenti attori solisti in assoluto. Il suo più recente lavoro, Angelica, diretto da Andrea Virgilio Franceschi, è una brillantissima sintesi di teatro e meta-teatro, basata sulla virtuosistica capacità di Cosentino di giocare continuamente con la tecnica dello straniamento di matrice brechtiana, ma non a fini epico-didattici, ma semmai satirico-semantici; è un gioco a spiazzare il pubblico e ad auto-spiazzarsi mediante un tourbillon di parodie e un frenetico ping-pong di citazioni tutte debitamente virgolettate e commentate a latere, in modi sempre colti e pertinenti. Insomma, Cosentino si esplica come autore-performer solipsista e jongleur da un lato, mentre dall’altro lato svolge il ruolo di critico distaccato e mordace di ciò che fa e mostra in scena. In pratica, ‘paghi uno e compri due’.

Marco Palladini Le reti di Dedalus

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Il teatro è in un recinto e si rivolge ai compagni di recinto. Questo avviene nel teatro tutto, non solo in quello cosiddetto “di Ricerca”, avviene nel mondo degli stabili, dell’Opera, etc. Il Teatro di Ricerca, al limite, ha un problema in più: il suo recinto è dei più piccoli. Andrea Cosentino è una bomba contrabbandata all’interno di questo recinto. (…) Il teatro di Andrea Cosentino nasce, ma non si rassegna a morire, all’interno del Teatro di Ricerca, conservandone le caratteristiche di fondo e riuscendo a non essere, pur utilizzandone con disinvoltura i più triti materiali e cliché, né “nazionalpopolare” né “televisivo”. Cosentino è così in grado, anche grazie al suo talento comico, di raggiungere un pubblico traversale, finalmente non elitario ma comunque non generalista: una comunità di spettatori medi e medio-alti, “intelligenti” senza essere teatranti (…) La sua comicità non è una maschera, costruita per dissimulare qualcosa di più elevato che le stia alle spalle; non c’è maschera e non c’è volto nascosto, quello che vediamo è proprio il volto di Andrea Cosentino, che è un impasto seducente di ciò che di vero e di falso, di basso ed elevato, di tragico e ridicolo rappresenta per noi la sua esperienza individuale, contraddittoria, irripetibile. (…)

Daniele Timpano amnesiA Vivace

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Andrea Cosentino dopo “Andromaca” e “L’Asino Albino” ci consegna la sua prova più matura in “Angelica”, riflessione dolceamara sulla morte nella società contemporanea che la televisione spettacolarizza ma che ognuno di noi vive poi indifeso alla propria maniera. Il racconto di Cosentino, come il ricordo della vita passata, si spezza di continuo, entra in personaggi immaginati e reali, ci consegna elaborazioni intellettuali sulla concezione del tempo, si misura con gli eroi della televisione demistificandola con un uso irriverente di oggetti e pupazzi.
Tutto ciò diventa il pretesto per l’attore/autore per parlare del nostro tempo in modo intelligente e con un uso dei propri mezzi interpretativi che diventano ogni volta più coerenti e personali.

Mario Bianchi Eolo

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Tutta la pièce è costruita su un grande continuo “montaggio parallelo”, e d’altronde i riferimenti al cinema sono molti. Tutti i filoni si ricongiungono: quello di una fiction tv girata a casa di un’anziana abruzzese abitante a Roma; quello delle citazioni da Pasolini; quello delle citazioni, degli aneddoti, dei “tranci di vita”, dice lui. Cosentino è attore multiforme, parlatore infaticabile dalla mimica sorprendente. Chiude con Domenico Modugno che attacca (…) “Cosa sono le nuvole”, su testo di Pasolini, dalla colonna sonora del film omonimo.

Simone Tonelli Giornale di Brescia
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I diversi spunti, le persone evocate hanno come filo conduttore la preparazione di una fiction televisiva dove aleggia, appunto, l’ombra della morte. Ed ecco allora che il Cosentino affabulatore leggiadro, l’ironico-comico raccontatore, lascia spazio alla vena più propria dell’attore che, parrucca femminile in testa, si trasforma per pochi secondi nell’Angelica del titolo per poi tornare a dar spazio agli altri innumerevoli ruoli, parlate, atteggiamenti, che costituiscono il canovaccio del monologo. (…) In una scenografia minimalista – un frigo, uno schermo (vuoto) di televisione, un abito da sposa a terra – il racconto procede per strappi, a singhiozzo, passando attraverso continui cambi di fronte, da una voce all’altra, mantenendo però sempre un’indiscutibile energia e regalando attimi di puro divertimento ma anche occasioni di riflessione.. E così si può ridere di fronte a una situazione “falsa” eppure assolutamente reale.

Betty Zanotelli L’Arena di Verona

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Un senso di assurdo (…) permea una buona parte dello spettacolo ed è stato nel teatro del Castello la causa prima delle esilaranti reazioni del pubblico. L’autore dimostra, così, ancora una volta una padronanza anche di mezzi minori rispetto a quello della recitazione e della scrittura del testo. Gli oggetti di scena assumono un valore di installazione pop, così in questo caso, come in altri momenti; per esempio con la ridicola parrucca bionda con la quale Cosentino assume l’identità dell’attrice/Angelica, la barbie che a momenti la impersona, o lo sdrucito vestito di nozze con il quale la protagonista si avvia alla morte. Tutti questi oggetti si rivelano tra l’altro profondamente estranei al mondo e alla funzione del teatro tradizionale e insieme dell’entertainment in tutte le sue salse, di cui Cosentino programmaticamente, e senza dubbio con questo spettacolo, si fa gioco.

Paolo Sanvito Closeup

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Angelica non riesce a morire tutto d’un fiato, occorre montare la scena e in questo Cosentino è straordinario: lo scheletro di uno schermo televisivo e il suo faccione in primo piano, poi una Barbie con la stessa acconciatura platino in piano americano, poi di nuovo un dettaglio del volto e così fino alla morte. Non si tratta della ormai abusata contaminazione tra teatro e cinema, perché qui non ci sono video: geniale è la fusione di tecnica cinematografica all’interno dello spazio teatrale come se si trattasse di un cartone animato costruito artigianalmente al momento.

Claudia Cannella Primafila

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Guardare Angelica è stato come stare seduti in poltrona a guardare la tv, cambiando canale dopo qualche minuto, girando e scorrendo tra le varie storie che la televisione – ma anche la vita quotidiana – ci propone. Con una conclusione curiosamente interessante. Sul lungo pianosequenza che è la nostra vita, è il regista che seleziona, taglia e monta le scene più interessanti, creando così la narrazione di una storia. Che comunque è passato, non più presente. E che comunque sono solo pezzi di storia: ci vorrebbe una vita intera per vedere un film su una vita intera. Cosentino si insedia tra i tagli, nei piccoli spazi del montaggio di quello che in futuro sarà un film sul passato, cercando di catturare il presente.

Annalisa Cameli WhipArt

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Il realismo si copia, ma la realtà si produce”. La poetica di Andrea Cosentino è espressa da queste parole, tratte dal testo di Angelica, con una straordinaria efficacia: la realtà riprodotta è di per sé stessa mistificazione, è ricerca di senso oltre il senso intimo, senso tradotto potrei dire, è il tentativo di far coesistere atto e potenza, nel momento in cui il pensiero si fa azione, la realtà si vivifica a del tutto nuova esistenza; il realismo ne è la reiterazione sbiadita, realtà senza spessore espressivo, sagoma senza rilievo non tangibile, piatta alla percezione. La realtà si produce perché l’immagine ne ripete i canoni e ne crea una nuova, allora forse accettarla è il primo passo per poter dire qualcosa in più, potersi spingere a svelare i cardini della rappresentazione e rinnovarne significato: è così che nasce Angelica, dal potere dell’immagine e dal legame che ha con la morte…

Simone Nebbia Teatro e Critica

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Un teatro che parla al cuore ed al cervello del pubblico, uno spettacolo denso e stratificato, da vedere e da rivedere per coglierne tutte le sfumature, per apprezzarne la notevole complessità sotto la più immediata superficie comica. (…) Teatro della parola e della maschera (la parrucca di Angelica, metafora parodistica delle larvae di antica memoria), del tempo e del gesto, dove commedia e dramma si fondono in un unicum che riproduce alla perfezione quello spettacolo tragicomico che è la vita umana.

Valentina D’Amico inequilibrio 05 giornale del festival

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Una sottile e grottesca critica alla moderna evoluzione della società dello spettacolo, ma anche una poetica e nostalgica citazione delle borgate pasoliniane si cela in questa storia scritta e interpretata da Andrea Cosentino. Il giovane abruzzese, abilissimo trasformista dalla comicità studiata e mai volgare, che si muove nella scena vuota utilizzando solo alcuni oggetti per caratterizzare i suoi personaggi e ricreare il setting delle loro vicende (…)

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“Si tratta innanzitutto di mimare con la povertà di mezzi scenici la povertà di un linguaggio. Farsi doppio parodico del linguaggio standardizzato del racconto televisivo” dice Andrea Cosentino, cosa che Adorno per primo sostenne nel 1953. (…) uno spettacolo divertente, intelligente, graffiante, stimolante e pieno di verità.

Alessandra Salvatori Frameonline