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Dal 10 al 15 dicembre al Teatro Mercadante il nuovo spettacolo con la regia di Arturo Cirillo
La purga di Georges Feydeau
Esilarante affresco delle miserie e gli orrori di un’umanità ipocrita e arrivista
In scena lo stesso Arturo Cirillo, Sabrina Scuccimarra, Rosario Giglio
Luciano Saltarelli, Giuseppina Cervizzi

Le rappresentazioni dello spettacolo sono anticipate
dall’incontro di Paolo Sorrentino con Arturo Cirillo
lunedì 9 dicembre alle 18.00 allo spazio LIBRI&CAFFÈ del Mercadante

Dopo il grande successo ottenuto nella passata stagione con Il vantone di Plauto nella traduzione di Pier Paolo Pasolini, torna al Teatro Mercadante con il suo nuovo spettacolo La purga di Georges Feydeau, l’attore e regista napoletano Arturo Cirillo. La commedia prodotta dal Teatro Stabile delle Marche sarà in scena da martedì 10 a domenica 15 dicembre.
Le scene sono di Dario Gessati, i costumi di Gianluca Falaschi, le luci di Badar Farok, le musiche di Francesco De Melis, le foto di scena di Marco Ghidelli. Assistente alla regia Salvatore Caruso.
Arturo Cirillo, in scena nei panni del protagonista Follavoine, condivide l’esilarante pièce con il gruppo di attori storici dei suoi lavori, da Sabrina Scuccimarra nel ruolo di Giulia, moglie di Follavoine, a Luciano Saltarelli in quello di Totò, figlio di Follavoine, a Rosario Giglio nel ruolo di Chouilloux, funzionario del ministero della guerra, a Giuseppina Cervizzi nel ruolo di Rosa, cameriera e Signora Chouilloux.
«George Feydeau – scrive Cirillo – appartiene a quegli autori di cui si pensa di conoscere tutto, autori che non potranno più sorprenderci. Ho l’impressione invece che il nostro abbia varie cose dentro al suo cilindro, e nella sua testa, e di conseguenza nel suo teatro. Intanto parlerei di una certa “pericolosità” presente nei suoi testi, dove mi sembra che sì è sempre al limite del non senso e della tragedia, dell’esplosione, del meccanismo esasperato e portato al parossismo. Mi sembra che la sua scrittura anticipi quel teatro dell’assurdo, come schematicamente è stato definito, dove l’impasse, il concetto che non riesce ad esprimersi, l’azione che non riesce a compiersi, l’incidente, diventano elemento sostanziale del farsi teatrale. La purga inizia con una lunga scena in cui il centro sfugge continuamente, dove la conversazione devia ossessivamente, se di conversazione si può parlare e non invece di una sequela d’inventive intercalate da lamenti, sospiri e rimpianti; perché inaspettatamente i personaggi di questa commedia sono molto emotivi. Tutti tranne forse il bambino Totò, o Bebè come avvolte è anche chiamato, questo criminale in nuce mi ha fatto pensare al protagonista del testo di Roger Vitrac (tanto amato da Antonin Artaud) Victor o i bambini al potere, e ho incominciato ad immaginare il piccolo Totò interpretato da un attore grande, un bambino-adulto come dovrebbe essere Victor secondo il suo autore: ragazzetto di nove anni ma alto un metro e novanta. E restando in questo orizzonte surreale mi sono ricordato di una scena di un film di Bunuel, Il fantasma della libertà, dove si racconta di una visita in una casa alto borghese, in cui gli ospiti si accomodano intorno a un tavolo seduti su dei gabinetti, in cui si discetta di escrementi, e poi si va di nascosto a mangiare in una stanzetta. Un costruttore di igienici sanitari, dal gabinetto al lavabo passando per tazze da notte, che poi saranno uno degli argomenti centrali della vicenda, attende la visita di un importante funzionario del Ministero della Difesa, che però non ha mai fatto il militare poiché miope, che dovrebbe affidargli la commissione di un gran numero di vasi da notte come dotazione per i militari dell’esercito. Poiché l’industrialotto, di cui sopra, ha inventato una sedicente porcella indistruttibile con cui costruisce i propri vasi il ministero è molto interessato al prodotto e manda un funzionario per verificarne i pregi. Il genio malefico di Feydeau decide di portare nella vicenda l’azione parallela e per niente contraddittoria del figlio del costruttore di sanitari, Totò appunto, che la mattina si è svegliato costipato e ha bisogno di purgarsi. L’oggetto in cui si compie e l’atto stesso del defecare diventano di conseguenza il perno della vicenda e anche l’oggetto centrale dell’abitazione della nostra famiglia. In un gioco di ipocrite omissioni, e convenzionali relazioni, i nostri personaggi alluderanno continuamente all’atto di defecare restando nella cornice di un salotto borghese dove però al posto delle sedie vi sono dei water, con relativo sciacquone. Mi sono immaginato un interno di una casa degli anni ’60-’70, in cui la funzione fisiologica convive con le problematiche di una famiglia borghese: il difficile rapporto tra i due coniugi, il problema del tradimento, le liti su la servitù, le regole dell’ospitalità, il buon nome della famiglia ecc. E diversamente dal Falstaff verdiano dove tutti sono alla fine beffati qui son tutti purgati, lo sporco che abbiamo dentro ha la meglio su quel che mostriamo fuori, il corpo rivendica il suo monotono e circolare movimento biologico, come la porcellana rivendica la sua natura distruttibile».