Tempo di lettura stimato: 2 minuti

Punta Corsara | 369gradi | Armunia/Festival Inequilibrio

PETITOBLOK

Il baraccone della morte ciarlatana

liberamente ispirato alle opere di Antonio Petito e Aleksandr Blok

drammaturgia Antonio Calone
regia Emanuele Valenti

con

Giuseppina Cervizzi (la Morte)
Christian Giroso (Felice Sciosciammocca)
Giovanni Vastarella (Pulcinella)
Valeria Pollice (Colombina)
Emanuele Valenti (il Ciarlatano)

costumi

Daniela Salernitano

spazio scenico

Emanuele Valenti, Daniela Salernitano

maschera di Pulcinella

Marialaura Buonocore

disegno luci

Antonio Gatto

tecnico

Giuseppe Di Lorenzo

aiuto regia

Antonio Calone

grafica

Ida Basile

foto

Marina Dammacco

organizzazione

Marina Dammacco, Rosario Capasso

Totonno ‘o Pazzo, al secolo Antonio Petito, il più grande interprete di Pulcinella della seconda metà dell’Ottocento e sgrammaticato autore di numerosi testi teatrali, viene ricordato per il suo gusto particolare di mescolare, in arditi déguisements, le tradizionali pulcinellate napoletane con storie rubate al melodramma e ai romanzi d’appendice italiani e francesi, in grande voga nel pubblico dell’epoca. Di lui si ricorda anche la capacità di inserire nei suoi spettacoli elementi di attualità, in un approccio col pubblico diretto e smaliziato, che metteva a nudo le convenzioni teatrali a volte quasi anticipando le avanguardie simboliste e futuriste.

Facciamo nostro questo spirito di contaminazione, facendo dialogare Petito con il poeta russo Aleksandr Blok e il suo testo teatrale del 1906 Balagancik (Il baraccone dei saltimbanchi) che Mejerchol’d stesso mise in scena e a cui Stravinskij e Diaghilev si ispirarono per il celebre balletto Petruska.

Indagando un immaginario al confine tra la favola e la farsa, il nostro lavoro racconta le tragicomiche sventure in cui si cacciano Pulcinella e Felice Sciosciammocca in fuga da una Signora Morte improbabile e disperata. Questa volta, a dar loro filo da torcere, è un eccentrico Ciarlatano, ex commediante napoletano in esilio nei teatri d’avanguardia di San Pietroburgo, tornato in patria proprio con il progetto di ammazzare, o meglio, cancellare dal mondo del teatro Pulcinella e Felice. Imprigionati nel suo sgangherato Baraccone in compagnia di Colombina, una marionetta meccanica candida e coraggiosa, il nostro duo di avventurosi perdigiorno sperimenta e confonde il lato umano e quello meccanico della paura, della fame e dell’amore.

Ne nasce un gioco tra verità e finzione, un ballo vorticoso come quello che travolge il Pierrot e l’Arlecchino di Blok in cui, forse tutti sotto effetto delle illusioni del Ciarlatano, non distinguiamo più la maschera dal personaggio, la marionetta dall’essere umano.

Persi in uno spazio vuoto, che potrebbe essere tanto una piazza quanto una collina scura, come in un sogno, mentre la notte avanza, i nostri personaggi, si incontrano e da lì cominciano il loro viaggio, incoscienti e ingenui come due bambini, vincono perché è scritto così, sfuggono perché è così che deve andare a finire. Pulcinella e Felice, in qualche modo resistono alle avanguardie e alle tradizioni, ai loro autori e a chi li rievoca e li interroga; col privilegio della loro natura molteplice, queste maschere/marionette, nessuno le ammazza.

Eppure abbiamo provato stavolta a non salvarli fino in fondo, a non dargliela del tutto vinta, arrabbiati e annoiati come il Ciarlatano, stanchi come lui dei loro vuommeche, dei loro continui siparietti.

Il nostro è infatti un lavoro per Petito e contro Petito, un omaggio alla sua anarfabetica scrittura scenica e allo stesso tempo quasi un affondo nei suoi testi.
Ancora con il linguaggio della farsa, ma stavolta, a differenza de Il signor di Pourceaugnac, dove Parigi diventava Napoli, e i guizzi di Molière si confondevano con la maschera di Totò, siamo partiti da noi, da un autore napoletano, per andare altrove.