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TEATRO BOLIVAR

start up stagione 2016/2017

DUETTI

200 grammi di teatro a sera

direzione artistica Ettore Nigro e David Jentgens

29|30 settembre 1|2 ottobre 2016

13|14|15|16 ottobre

da giovedì a sabato ore 20.30 | domenica ore 18

Abbiamo deciso di iniziare la stagione 2016/2017 del teatro Bolivar – dall’evocativo titolo “nuove vele” – con la più antica delle arti, ovvero l’arte del racconto. In ogni parte del mondo, dai suoi albori ad oggi, gli uomini si sono sempre seduti, e continuano a farlo seppur più di rado, intorno a un tavolo o a un fuoco per raccontare e ascoltare storie, fiabe, gesta o fatti realmente accaduti, talvolta enfatizzati. La necessità di raccontare e di raccontarsi continua a essere il fondamento delle relazioni umane e per questo crediamo che possa essere un buon inizio per questa nuova stagione del Bolivar.

Oggi il racconto ha cambiato pelle ed è diventato monologo, ma l’esigenza da cui nasce non è cambiata. Ogni attore, prima o poi, avverte la spinta prepotente di volersi confrontare con il “recitare da solo” per donare, in maniera diretta, paesaggi e visioni interiori.

Riteniamo che la condivisione del proprio mondo, con le sue sfumature ed emotività, diventi un invito a guardarsi dentro, a ripiegare sulla propria interiorità, trovando così la cura per stare bene.

I monologhi, oltre a essere una risposta organica all’imbarbarimento produttivo contemporaneo, fungono anche da screening, fornendo informazioni sullo stato di salute del teatro oggi. Le diversità stilistiche e poetiche individuali, inoltre, diventano pozzo di ricchezza per gli spettatori e per chi ancora crede nel teatro come via di cura.

David Jentgens ed Ettore Nigro

giovedì 29 settembre

EFFETTO C.C. ovvero topolino Crik

di Francesco Silvestri e Melina Formicola

con Carlo Roselli, Antonetta Capriglione, Igor Canto

regia Francesco Petti

Antonio Cafiero è un ritardato mentale. Ha enormi difficoltà a trattenere nozioni o a collegare tra loro i pochi frammenti del suo passato che riesce a ricordare. Vede il mondo girargli intorno e ha l’impressione di non farne parte, o di esserne una parte marginale. Ma lui vuole essere di questo mondo, vuole essere normale. Cafiero, grazie a un’improbabile operazione chirurgica, riesce a guardare oltre la siepe, scopre il mondo meraviglioso della conoscenza e della memoria.

Alter ego di Antonio è il topo Crick, che è stato sottoposto alla stessa operazione, prima di lui e con successo. Ma proprio Antonio comincerà a studiare il fenomeno Crick, scoprendo che questa operazione ha una controindicazione: è limitata nel tempo.

La scienza, dunque, si illude di controllare l’uomo, ma le forze della natura aspettano e colpiscono impreviste e incontrollabili, come uno tsunami dell’anima.

ATTENDERE PREGO primo studio su “Umoristica sinfonia di una vita non agita”

scritto pensando a “Giorni Felici” di Samuel Beckett

di e con Monica Palomby

Una donna, nel mezzo del cammino della sua vita, decide di non guardare più né avanti né indietro, né tanto meno dentro di lei. Vuole rimanere staccata e divisa, senza ricongiungersi. Cerca la via di fuga, fingendo di essere quella che non è, o solo fingendo di essere. Prega e attende che la vita scorra con semplicità e che la morte arrivi. Ma la vita colpisce senza avvisare: le scorre in pancia, sulla lingua, le attraversa il cuore, lei che di vita è già sazia abbastanza. Vuole anzi scacciarla via, come un macigno che occlude l’entrata alla caverna. Parla parla parla. E canta per non restare sola, tanto – pensa – «qualcuno mi sta ancora guardando… qualcuno sta ancora preoccupandosi di me…».

È una storia eroica al contrario: la scelta di paralizzare l’anima, «una vera grazia… nessun cambiamento, nessun dolore… o quasi».

venerdì 30 settembre

TRAGODIA il canto del capro

tratto da un racconto di Emanuele D’Errico

adattamento Ettore Nigro ed Emanuele D’Errico

con Emanuele D’Errico

regia Ettore Nigro

scene Armando Alovisi | musiche originali Mario Autore |

costumi Francesca Del Monaco | regista assistente Rebecca Furfaro

«Conosce la storia di Gugliemo Belati?». Guglielmo è un ragazzo di paese che decide contrariamente al volere degli adulti genitori di voler sposare la sua fidanzata. Armato di coraggio, un anello e un pacchetto di caramelle a menta, corre in auto verso la futura sposa Teresa. Durante questo viaggio si ferma a raccogliere dei fiori e davanti a un fiore arancione con gocce di blu incontra una capra.

L’allestimento trascina lo spettatore in un mondo di fiaba, verosimile a quello reale, recuperando la possibilità di esplorare ciò che non si conosce, ciò che non è di questo mondo, il mistero. E proseguendo nella ricerca, Guglielmo vive la possibilità di cadere e inciampare nel dubbio. È il Bivio, simbolo del dubbio, che sottostà alla trama e alla messa in scena. Il bivio mette in gioco i sentimenti di paura e coraggio, lo slancio e la regressione, l’irrazionalità e la razionalità, il mistero e il conosciuto, e, dunque, chiama in causa l’Errore, e l’errare.

LUCI DELLA CITTÀ/

Stefano Cucchi

di Pino Carbone e Francesca De Nicolais

con Francesca De Nicolais

regia Pino Carbone

Un ragazzo di 31 anni è morto mentre era sotto la custodia dello Stato, per usare un’espressione da libro di denuncia, o da teatro di narrazione.

Questo spettacolo vuole essere le lacrime che non abbiamo pianto.

La rabbia che non abbiamo gridato.

La poesia che non gli è stata concessa.

sabato 1° ottobre

TELÈ

di Lorenza Sorino e Arturo Scognamiglio

con Arturo Scognamiglio

regia Lorenza Sorino

scene Armando Alovisi | musica finale Stefano Morelli

Telè è la storia di Telemaco D’Amore, ragazzino dei quartieri problematici di Napoli, ennesimo figlio di una famiglia numerosa dove tutti fanno “lavoretti” per portare qualcosa a casa. Il padre di Telemaco è sparito da due mesi per cercare fortuna all’estero e Telè decide, all’insaputa di tutti, di mettersi sulle sue tracce e affronta un viaggio che lo porta in Svizzera. Arrivato a destinazione scoprirà che la meta è meno importante del percorso fatto e imparerà a diventare uomo e padre.

Il viaggio di Telè è ambientato in un “non tempo”, sembra di essere negli anni ’50 e poi, invece, un piccolo indizio catapulta lo spettatore negli anni ’80 e ’90, fino ai giorni nostri. Una scelta, questa, per sottolineare che il viaggio, l’emigrazione alla ricerca di un luogo migliore, fa parte della nostra storia da sempre, ma non sempre, dopo il viaggio e la fatica, si raggiunge ciò che si è desiderato, sognato, mitizzato.

MICROSTORIE Racconti di una picciridda siciliana
con
Maria Stella Pitarresi

regia e coreografie Fabrizio Varriale
produzione
Danza Flux


Microstorie è un progetto in divenire che racchiude scritture coreografiche e drammaturgiche ispirate ai temi della memoria, dei suoni del quotidiano e della proiezione dell’umano. Sono appunti che svelano la relazione con il tempo, lo spazio vissuto e l’immaginario, che diventano fondamenta delle azioni sceniche. Il primo quaderno di appunti “Naufragio di un clown”, ispirato alle letture di S.T.Coleridge e F.Pessoa ed interpretato dallo stesso Varriale, è stato presentato all’interno della stagione teatrale 2015/16 del Teatro Bellini di Napoli. Il secondo quaderno di appunti “Racconti di una picciridda siciliana” è una raccolta di vicende interiori, pensieri ed emozioni vissute, unite al linguaggio fisico della danza. In scena la storia di una ragazza siciliana che attraversa episodi tragici ed ironici : dai giochi d’infanzia alla scoperta dell’ amore, insieme al senso della perdita e dell’ineluttabilità del destino.

domenica 2 ottobre

SCHIFOSI l’orchestra vuota

tratto dall’opera omnia di David Foster Wallace

di Luca Iervolino e Rosario Sparno

con Luca Iervolino

regia Rosario Sparno

incursioni sonore Massimo Cordovani | disegno luci Riccardo Cominotto

Un personaggio si muove fra i membri della sua famiglia.

L’orchestra che ha creato la musica della sua esistenza.

Schifosi sono personaggi torbidi, divertenti quanto autenticamente amorali, che si confessano attraverso un originale, candido e violento linguaggio quotidiano e che raccontano la loro realtà.

Protagonisti incapaci di “dare” gratuitamente, di donare, terrorizzati dalla verità, che mantengono i rapporti sociali solo perché “sai non si sa mai, in fondo…”.

Approfondendo la vasta opera di David Foster Wallace è nato uno spettacolo – accompagnato dalle “note disturbanti” di Massimo Cordovani – in cui si indaga la possibilità di dire quel che non si può dire perché è amorale: i due temi presi in prestito da Wallace sono la genitorialità e la violenza sulle donne. Una madre ambiziosa, decisa, disperatamente, a mostrarsi amorevole; un padre frustrato e moribondo che implora una indecente cortesia; un figlio che smette di recitare il ruolo del figlio perché sa che gli altri sanno che lui sa che gli altri sanno.

SUPERFIABA

di e con Beppe Casales

musiche originali Isaac de Martin

Superfiaba è una fiaba, ma non è un racconto per bambini. È una storia che ha a che fare col meraviglioso e che parla a tutti. Racconta di un ragazzo che ha perso il coraggio. Racconta di come questo ragazzo cerca di riavere il suo coraggio. Racconta una storia d’amore, ma racconta anche la morte. Il testo dello spettacolo parte dalle funzioni della fiaba – che lo studioso Propp individuò quasi un secolo fa – per usarle e superarle. Il risultato è una storia ambientata in un mondo visionario in cui ogni personaggio si rivela essere qualcosa di diverso da quello che sembra. Lo spettatore segue il protagonista della storia nell’incontro con personaggi di varia natura: una salsiccetta, un bruco, un lupo, un gruppo di Scout, un generale, un sorcetto, un venditore di frittelle… Superfiaba è una storia di liberazione perché, come dice Italo Calvino, nelle fiabe c’è «lo sforzo per liberarsi e autodeterminarsi inteso come un dovere elementare, insieme a quello di liberare gli altri, anzi il non potersi liberare da soli, il liberarsi liberando».

giovedì 13 ottobre

ULTIMO PRIMO GIORNO DI RE FERDINANDO

scritto pensando a “Le memorie di un pazzo” di Nikolaj Vasil’evič Gogol’

di Cristian Izzo

con Anna Bocchino e Raimonda Maraviglia

regia e adattamento Ettore Nigro

Mavra, impiegata comunale, è convinto di essere stato incoronato Re di Spagna – oggi, come ieri, come sempre – e viene chiusa in manicomio. Il disturbo d’identità ogni giorno resetta la sua mente, facendole vivere sempre un solo unico giorno: il primo – e quindi l’ultimo – da sovrano.

Perennemente innamorato, Ferdinando, della sua corona e di una “donna” per cui è impazzito, forsennatamente impegnato nel suo progetto di salvare la luna, Ferdinando trova un amico e un validissimo alleato nel dottore che lo prenderà in cura. Il dottore cercherà di aiutarlo usando metodi diversi da quelli convenzionali, agendo non sul “come” ma sul “perché”, suggerendo all’infermiera di somministrare cure e non bastonate. Attraverso il paziente, che si scoprirà essere paziente e dottore allo stesso tempo, anche l’infermiera vivrà una seconda rinascita.

PAZZO AD ARTE frammenti di vita che ci ri-guardano

liberamente tratto da alcune scene dell’Amleto di William Shakespeare

di Alessandra Niccolini e Giuseppe Pestillo

con Giuseppe Pestillo

oggetti di scena Alessandra Niccolini

Lo spettacolo, nato per omaggiare il grande drammaturgo inglese in occasione del IV centenario della sua morte, prende vita dopo un lungo periodo di studio dell’Amleto dove sono state di fondamentale importanza, per lo sviluppo della drammaturgia e la comprensione di determinati nodi drammatici, le analisi che Orazio Costa Giovangigli ha avuto modo di lasciare nei suoi anni di insegnamento, regista e maestro di teatro. Ne è venuta fuori una performance per un solo attore che pone gli spettatori faccia a faccia con la contemporaneità delle amletiche vicende e con i sentimenti e le emozioni universali di cui l’opera shakespeariana è portatrice. L’attore diventa, di volta in volta, personaggi diversi del dramma, scegliendo tra il pubblico i suoi interlocutori con lo scopo di accorciare le distanze tra un testo “sacro” del teatro e la nostra vita, immergendolo nel quotidiano della convivialità. «Ci siamo divertiti – spiegano gli autori – a trasformare alcuni dialoghi del dramma in monologhi in cui il personaggio, pur rivolgendosi ad una persona, pare che non ascolti affatto l’altro, come tutti noi sperimentiamo nella quotidianità quando trattiamo il nostro interlocutore come “due orecchie” per i nostri soliloqui e viceversa».

venerdì 14 ottobre

ANGELO DELLA GRAVITÁ (un’eresia)

di Massimo Sgorbani

con Michele Schiano di Cola

regia Michele Schiano di Cola

disegno luci Gennaro Di Colandrea | musiche Michele Maione | scene e costumi Lia Anzalone

Angelo della gravità è un testo nato in seguito alla lettura di una notizia riportata anni fa sui giornali: negli Stati Uniti un detenuto nel braccio della morte era in attesa che la sua condanna a morte venisse eseguita tramite impiccagione. L’esecuzione, però, era stata sospesa perché il condannato in questione era grasso al punto che il suo peso avrebbe spezzato la corda del boia. Il fatto di cronaca è rimasto un semplice spunto. Angelo della gravità non è la storia di quell’obeso, ma di un obeso, un uomo con evidenti problemi di disordine alimentare e di immaturità psicologica, un animo infantile intrappolato in un corpo cresciuto a dismisura. La sua unica consolazione è il cibo. Il cibo, un tempo ricevuto dalla madre, è il solo, più alto dono d’amore che lui conosca. E proprio inseguendo il cibo l’uomo approda nel paese da favola dove i supermercati sono aperti a tutte le ore e i panini sono come quelli dei fumetti: gli Stati Uniti. Qui, in terra straniera, consuma l’efferato ma candido delitto per il quale viene condannato all’impiccagione. Il monologo è il resoconto che l’uomo fa delle sue vicende mentre attende di essere appeso alla corda del boia. L’obeso approda alla visione celeste degli “angeli della gravità” che, grazie alle loro ali, vincono il peso della materia e si elevano verso Dio.

MIRARI

di Anna Bocchino, Dario Rea, Arturo Scognamiglio

con Anna Bocchino e Dario Rea

regia Arturo Scognamiglio

scena Luca Serafino

Sempre più spesso l’essere umano ha difficoltà ad agire bene con se stesso, ad ascoltarsi e a rispettare il proprio sentire reale, interno, e non quello derivante dalle influenze provenienti dall’esterno. Ci si dimentica di noi in quanto essere comprendente una dualità da curare e nutrire equilibratamente. Ne nasce una incapacità di rapportarsi agli altri con coscienza di sé, viziando i rapporti con menzogne, inganni, punti di vista distorti sugli accadimenti.

Com’è possibile che qualcuno veda chiaro quando non vede nemmeno se stesso, né quelle tenebre che egli stesso proietta inconsciamente in ogni sua azione? Si fa di tutto, anche le cose più strane, pur di sfuggire alla propria anima. Ed è quello che Pietro fa. Occupa il suo tempo per non sentirlo vuoto, senza chiedersi realmente cosa voglia fare, cercando di riempire esteriormente una mancanza che proviene da dentro ed ha origini più profonde. Un giorno, tornando a casa, incontra Mira. L’incontro armonico che ne verrà, cambierà irreversibilmente il percorso di entrambi.

sabato 15 ottobre

REQUIEM A PULCINELLA [RAP]

un percorso di ricerca e creazione a cura della Scuola Elementare del Teatro /

Conservatorio Popolare per le Arti della Scena diretto da Davide Iodice

di e con Damiano Rossi

turntablist, b-boy Ivan Alfio Sgroi

coro, figure, tecnica Tommaso Renzuto Iodice | coordinamento artistico e tecnico Michele Vitolini

Damiano è uno dei tanti rappers campani, dei tantissimi, parlatori, straparlatori, che dalle innumerevoli crew piantate in città o (come nel suo caso) nei paesi dell’entroterra, continuano a lanciare il proprio grido ritmico, elaborando disagi, inquietudini, desiderio. La particolarità di Damiano è quella di ‘essere sceso dalla crew’, per così dire, e di aver scelto il teatro, portando con sé tutti i suoi ‘chiodi’, le sue ferite, la sua rabbia, i suoi ‘bits’, ma anche una maschera antica. Da questa abbiamo tratto la forza combustiva per un primo studio scenico. Accompagnato dallo scratching di Ivan Alfio Sgroi e dalle incursioni di Tommaso Renzuto Iodice, altro ‘allievo’ della Scuola Elementare del Teatro, questo giovane ‘griot’ contemporaneo, intona qui il suo requiem ostinato e vitalissimo per una terra che non finisce di morire e forse per tutta una generazione.

LA GEISHA CHE DANZA PER AMORE ainoyume
regia coreografia e danza Chiara Alborino/Compagnia Danza Flux
produzione Danza Flux

Si tratta di un solo di teatro e danza contemporanea, ispirato al teatro giapponese, e in particolare alla figura della geisha, al teatro , al Kabuki, ma anche alla ricerca dei significati, delle tradizioni e musiche giapponesi: dall’uso dei Sakura, i tipici fiori nipponici, al suono dello Shakuhachi, il caratteristico flauto dritto. I testi guida sono di Kuki Shuzo, Murakami e Yasunari Kawabata.

Un’ anziana geisha, in un’atmosfera sospesa tra realtà e sogno, si reca sulla tomba dell’amato defunto per rievocarne la presenza attraverso un rito d’amore e pianto. Dai sentimenti generati dal ricordo nascono delle danze. Poesia, purezza, eleganza, mistero è ciò che la danzatrice evoca attraverso un linguaggio corporeo ricercato nelle movenze, nella gestualità e nella rottura della continuità del movimento attraverso cenni di tribalità ancestrale, superando in questo modo il confine tra la cultura occidentale ed orientale.

domenica 16 ottobre

GIANNI BREIL

di e con Pietro Tammaro

adattamento Alberto Mele

regia Pino Carbone

Una storia semplice e assurda, come solo dentro un dipartimento di psichiatria può nascere. In Gianni Brail è concentrata la malattia mentale, le violenze, i rapporti con la famiglia, l’omosessualità, la voglia di maternità, l’arte come unico veicolo di speranza e di salvezza. Un amore salvifico anche quando distorto, piegato, incompreso, urlato, violento.

E così, una volta terminata la mia degenza, ritornato negli strali di questa città allucinante e allucinata, ho cercato il modo per far sì che tutte le idee raccolte prendessero forma. Il monologo raccoglie la necessità di raccontare tutte le implicazioni sociali, emotive e civili dell’essere pazzi in un mondo che ancora oggi contempla le malattie mentali solo da un punto di vista patologico.

In Gianni Brail, un omosessuale bipolare ricoverato per l’ennesima volta, convinto di aspettare un bambino a seguito di uno stupro che lui non riesce a considerare come tale, convivono una serie di domande alle quali la società odierna sembra non voler dare risposte. A cosa serve la verità se non a renderci liberi? A chi possiamo chiedere aiuto, se non riusciamo a pagarne il prezzo? A cosa serve cercare di guarire se il mondo non è pronto ad accettarci così come siamo?

SHAKESPIRANDO #45# uomo attore – solo

libero adattamento da “Amleto” di William Shakespeare

di e con Piergiuseppe Francione

Un viaggio di uomo-attore solo, un tradito Amleto che vede e sente troppo e sceglie la via del folletto pazzariello punk per dire delle scottanti verità, tra cui quella di essere tutti morti vivi in una gran bella prigione a cielo aperto. Senza la maschera il pagliaccio-uomo non trova altra via d’uscita se non quella di credere solo ed esclusivamente alla possibilità che l’arte e, nel caso specifico, l’attore e l’attrice, possano incastrare le coscienze dei malfattori. Quando poi l’uomo osserverà, a posteriori, se stesso-attore non potrà non vedere di essere lui il primo vigliacco. Capisce, così, che solo riuscendo a non essere-non essere ciò che è stato fino ad allora, potrà grazie alla stesso processo che vive l’artista e l’attore, ritornare ad essere ciò che è: un essere umano. L’arte, che è amore e bellezza, forse ci salverà.

Info

Il teatro Bolivar è in via Bartolomeo Caracciolo 30, Napoli

A pochi passi dalla metropolitana Linea 1 – fermata Materdei

Prezzo biglietto 15 euro (2 monologhi a sera)

Per info 081 544 26 16 – www.teatrobolivar.com