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Giovedì 23 novembre 2017, Teatro Elicantropo di Napoli

Come vorrei non morire di Daria Pascal Attolini

In scena una storia vera, personale, fortemente autobiografica, un

racconto che ha come tema il senso della vita, esserci, starsi vicini

Sarà il Teatro Elicantropo di Napoli a ospitare, giovedì 23 novembre 2017 alle ore 21.00 (repliche fino a domenica 26) il debutto, in prima assoluta, di Come vorrei non morire, uno spettacolo di e con Daria Pascal Attolini, per la regia di Alessi Vicardi, presentato da Indipendenti di Milano.

La protagonista di Come vorrei non morire ritrova suo padre e lo perde nuovamente. Stargli accanto, nel momento più duro della sua vita, le permette di ritrovare parte del suo passato e lo ricostruisce. Rimette insieme i pezzi della loro storia, scopre cose che non sapeva, costruisce un dialogo, in cui è, finalmente, possibile dirsi cose mai dette.

Una storia vera, personale, fortemente autobiografica. E’ il rapporto con un padre assente per buona parte della vita, e che, a un certo punto, rivela di essere malato di cancro e con pochissime possibilità di sconfiggere la malattia. Un racconto che ha come tema il senso della vita, esserci, starsi vicini.

“Quando Daria mi ha parlato di questo suo progetto – spiega la regista – ho pensato si trattasse di un lavoro molto rischioso. Poteva essere un’esperienza legata al teatro-terapia, dove il palcoscenico fosse il mezzo di un’operazione psicanalitica. Quando poi l‘ho letto, ho sentito, invece, che c’era la possibilità di far emergere il lato più semplicemente umano, condivisibile, allontanandosi dall’autoreferenzialità”.

Gli unici oggetti di scena hanno attinenza con la nostalgia, con l’abbandono. Quasi tutti gli oggetti godono d’immortalità rispetto all’essere umano. Attraversano i secoli, ricevono le cure di chi li tiene in vita, e passano di mano in mano, di famiglia in famiglia, testimoni silenziosi di cambiamenti.

Il tema della morte, più specificamente dell’abbandono, è declinato in diverse forme. Tutto inizia e s’interrompe, e la sensazione è che nulla giunga fino in fondo, che non si riesca mai ad arrivare all’ultimo atto, che tutto sia destinato a finire o non finire mai.

Il ricordo è vivo ed è raccontato per lasciare un segno oltre lo specifico di questa storia. Nessuno vuole morire davvero, e, in questa corsa all’immortalità, si perdono i rapporti più veri, gli unici per cui valga la pena lasciare un segno.

La verità dei sentimenti fa paura, perché viviamo in un sistema basato su rapporti a distanza, egocentrici, scontati, in cui anche la morte ha il proprio outlet, e l’enorme cimitero on line dei social è la nuova frontiera dell’immortalità.

“La morte di mio padre – così l’autrice e interprete – ha interrotto il mio rapporto con lui e le mie domande sono rimaste aperte. L’immortalità dell’arte e l’effimero della vita, il teatro come possibilità di esistere altrove, e la crudezza della realtà che non permette di pensarsi eterni”.

Come vorrei non morire di Daria Pascal Attolini

Napoli, Teatro Elicantropo – dal 23 al 26 novembre 2017

Inizio spettacoli ore 21.00 (dal giovedì al sabato), ore 18.00 (domenica)

Info al 3491925942 (mattina), 081296640 (pomeriggio)

Da giovedì 23 a domenica 26 novembre 2017

Napoli, Teatro Elicantropo

Indipendenti di Milano

presenta

Come vorrei non morire

di e con Daria Pascal Attolini

regia Alessia Vicardi

Durata della rappresentazione 60’ circa, senza intervallo

La morte di mio padre ha interrotto il mio rapporto con lui e le mie domande sono rimaste aperte. L’immortalità dell’arte e l’effimero della vita, il teatro come possibilità di esistere altrove, e la crudezza della realtà che non permette di pensarsi eterni.

Ho scelto di partire dal mio materiale e di ampliarlo con delle interviste fatte per strada a persone cui ho domandato: qual è il momento esatto in cui si muore?

Interessante diventa quella zona di incertezza e di silenzio, in cui mancano le riposte e si profilano i contorni di un tabù. D’altro canto la quasi totalità della cerchia di parenti, amici, conoscenti e colleghi, di fronte al lutto, ha reagito con un ‘empatia sui generis, in buona fede, e, cercando di consolarmi, ha generato invece situazioni imbarazzanti, tragicomiche.

Daria Pascal Attolini

Quando Daria mi ha parlato di questo suo progetto ho pensato si trattasse di un lavoro molto rischioso. Una storia vera, personale, fortemente autobiografica: il rapporto con un padre che è stato assente per buona parte della vita e che a un certo punto rivela di essere malato di cancro e con pochissime possibilità di sconfiggere la malattia.

L’emotività che ancora traspariva dalle sue parole aumentava il rischio di rendere questa storia una confessione o una testimonianza che poteva avere solo un valore catartico per chi l’aveva scritta.

Poteva essere un’esperienza legata al teatro-terapia, dove il palcoscenico fosse il mezzo di un’operazione psicanalitica. Quando poi l‘ho letto ho sentito, invece, che c’era la possibilità di far emergere il lato più semplicemente umano, condivisibile, allontanandosi dall’autoreferenzialità.

Si trattava di osare senza dissacrare o di dissacrare senza offendere. Il testo aveva un potenziale fortemente ironico, a tratti comicissimo. E ci siamo sorprese a ridere molto più spesso di quanto credessimo possibile.

Ci siamo sorprese a sorridere di molti aspetti di un’esperienza tanto tragica. Si trattava di trovare un modo semplice, il più leggero possibile, per trattare un argomento delicato come la morte di un padre e di quel padre nello specifico, senza perdere di vista il senso, il perché di questo racconto. Gli unici oggetti di scena hanno attinenza con la nostalgia, con l’abbandono.

Quasi tutti gli oggetti hanno una possibilità maggiore di immortalità rispetto all’essere umano. Attraversano i secoli, ricevono le cure di chi li vuole mantenere in vita, e passano di mano in mano , di famiglia in famiglia, testimoni silenziosi di cambiamenti.

Il tema della morte, più specificamente dell’abbandono, viene declinato in diverse forme. Tutto comincia e si interrompe e la sensazione è che non si riesca a portare nulla fino in fondo, che non si riesca mai ad arrivare all’ultimo atto, che tutto sia destinato a finire – non finire mai.

Alessia Vicardi

“L’essere umano reagisce cercando sempre delle soluzioni. Sempre e comunque , ogni uomo tende verso un solo obiettivo: essere felice; o almeno, essere il meno infelice possibile. Mira a questo anche chi si alza per andare ad impiccarsi. Qui, il male minore, la scelta, cioè, che rende meno infelici, non è scappare, ma affrontare; non lasciarsi dominare dal “ destino”, ma tentare di interpretarlo.”(Messori , Scommessa sulla morte).

Alessia Vicardi nasce a Cremona nel 1973. Diplomata al Liceo Linguistico consegue la Laurea in Scienze Antropologiche all’Università di Bologna. Nel 1995 si diploma in dizione e recitazione all’Accademia dei Filodrammatici di Milano e nello stesso anno vince la borsa di studio “Lina Volonghi “ di Roma che le consente di partecipare al Master triennale di perfezionamento dell’ Accademia d’Arte Drammatica Russa (R.A.T.I – Mosca) tenuto da J. Altchitz. Ha lavorato con G. De Monticelli, C. Accordino, C. Cerciello, M. Castri, A. Latella.

Vince la VI edizione della Borsa lavoro “Alfonso Marietti” indetta dall’Accademia dei Filodrammatici per lo spettacolo “Khub nist, o l’identità”(2010). Collabora con la “Scuola delle Arti” di Monza e con la Scuola “Teatro- Danza” di Cremona come insegnante di recitazione. Collabora inoltra come docente all’Accademia dei Filodrammatici di Milano.

Daria Pascal Attolini è attrice bilingue italo tedesca. Comincia la sua formazione artistica professionale frequentando la Scuola Europea per l’arte dell’attore(Teatro verdi,Pisa).Prosegue gli studi di recitazione alla Scuola d’ arte drammatica Paolo Grassi(Milano) dove si diploma nel 2007.Lavora in teatro con i registi Carlo Cerciello, Alessio Bergamo, Fabrizio Montecchi, Beppe Navello, Gigi Proietti, Andrea Baracco, Emiliano Bronzino, Ugo Gregoretti, Robert Talarczyk. Si perfeziona lavorando con Jan Lauwers, Rimini Protokoll e Lluis Pasqual alla biennale di Venezia e nel 2015 frequentando la masterclass per attori del Centro teatrale Santa Cristina, fondata da Luca Ronconi. In tv (Rsi) è Jennifer in “Affari di famiglia”, al cinema è nel cast de “La Luna su Torino”di Ferrario. Dal 2012 collabora stabilmente con il Teatro Astra(Torino). A novembre 2017 debutta, al Teatro Elicantropo di Napoli, lo spettacolo“Come vorrei non morire”, monologo di cui è autrice e interprete.