Di: Sergio Palumbo

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La protagonista del libro di Caterina Cavina presenta molti tratti autobiografici. Per amore del paradosso, si chiama Alice, ma ad un’altezza di un metro e ottantacinque contrappone ben centoquaranta chili di peso. Alice vive in un paesino della Bassa Emiliana, Guazza del Re. Suo padre scappa via di casa quando è ancora piccola e la madre passa la vita ad assumere psicofarmaci. Il quadro potrebbe sembrare certo poco entusiasmante. Aggiungendo, poi, la schiera di uomini squallidi che costellano la vita amorosa di Alice, ci sarebbe quasi da tentare il suicidio. E infatti, la nostra Alice, lo tenterà più volte, in modo più o meno consapevole. La Cavina è spietata con lo stereotipo di donna grassa simpatica e allegra, non dipinge una Bridget Jones un po’ impacciata e un po’ sovrappeso, ma ci sbatte in faccia com’è la vita di una donna obesa che lotta contro il suo male di vivere e contro lo squallore della vita quotidiana. Alice, narrando in prima persona, ci fa vivere la sua scoperta delle brutture del mondo e ci racconta le contromisure che, un po’ per esperienza, un po’ per cultura, un po’ per istinto di sopravvivenza, ha adottato per farvi fronte, non senza un cinismo che sorprende lei stessa d’aver maturato. Ma oltre al cinismo matura un’importante consapevolezza: che anche una donna grassa può essere sexy e apprezzata dagli uomini e che, al pari di una donna magra, può aspirare ad una vita lavorativa, emotiva, affettiva e sessuale soddisfacente ed appagante.

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