Di: Redazione

Tempo di lettura stimato: 2 minuti

Al TEATRO MERCADANTE di Napoli dal 1 al 12 DICEMBRE 2010 va in scena “DICERIA DELL’UNTORE”, dal romanzo di Gesualdo Bufalino pubblicato da Bompiani, grazie all’adattamento teatrale e alla regia di Vincenzo Pirrotta, con Luigi Lo Cascio.

La Sicilia, o meglio le “cento Sicilie” di Gesualdo Bufalino, il suo narrare onirico, diventano teatro. Diceria dell’untore, trasposizione scenica dell’omonimo romanzo dello scrittore di Comiso, punta su due prestigiose personalità artistiche: Vincenzo Pirrotta, che firma adattamento teatrale e regia, ritagliando per sé il ruolo del “Gran Magro”, e il protagonista Luigi Lo Cascio (l’io narrante). La creazione lirica e barocca di Bufalino rivive nell’originale rilettura di Pirrotta che innesta e imprime, nella trama scenica, le orme di forti tensioni drammatiche, scaturite dal suo personale universo poetico. Fino a riconsiderare l’assunto bufaliniano in una prospettiva in cui a prevalere – nella storie come nella Storia – non è l’inesorabile Mietitrice, ma è la Vita che abbraccia la Morte. Una rivisitazione che idealmente – seppure ad opera di altra mano – riapre il work in progress dello scrittore, per anni intento ad intervenire sul testo, rimodulando la struttura narratologica e perfezionandone la straordinaria invenzione linguistica.

Nel marzo 1981, alla vigilia della pubblicazione, in un’intervista apparsa sull’«Espresso» e firmata dall’amico Leonardo Sciascia, che con Elvira Sellerio lo aveva incoraggiato a completare il romanzo, l’autore confidava: «L’ho pensato e abbozzato verso il ‘50, l’ho scritto nel ‘71. Da allora una revisione ininterrotta: fino alle bozze di stampa. Mi è venuto dall’esperienza di malato in un sanatorio palermitano negli anni del dopoguerra, quando la tubercolosi uccideva e segnava ancora come nell’Ottocento. Il sentimento della morte, la svalutazione della vita e della storia, la guarigione sentita come colpa e diserzione, il sanatorio come luogo di salvaguardia e d’incantesimo. E poi la dimensione religiosa della vita, il riconoscersi invincibilmente cristiano».

Monta così nel racconto di amore e morte un’atmosfera noir, ma profumata di zagara e rischiarata dal sole della Sicilia. È l’estate del ’46. A rievocare la vicenda è un io narrante senza nome, che assolve il dovere che è proprio di un sopravvissuto: testimoniare i fatti. La sua è l’esperienza dolorosa di un reduce, colpito dalla “tbc”, che approda perciò in un sanatorio, “la Rocca”, sulle alture di Palermo: il suo secondo apprendistato di morte, dopo quello della guerra. Mentre condivide con i malati la fatalistica attesa della fine, entra nelle simpatie dell’inquietante “Gran Magro”, l’anziano primario, nobile e alcolizzato. Nel loro rapporto irrompe la diafana Marta, irrimediabilmente segnata dal male e dalla violenza della guerra. Tra i due giovani scaturisce un amore senza futuro. E mentre via via la morte falcia la ragazza e altri degenti senza speranza, la ritrovata salute è vissuta dall’io narrante con angosciosi sensi di colpa, come una diserzione dal “noviziato della morte” intrapreso insieme ai compagni di sciagura che non ce l’hanno fatta: un tradimento involontario che richiede almeno il riscatto del racconto, la testimonianza della “diceria”.

Questo l’approdo di un capolavoro a lungo meditato fino alla pubblicazione, avvenuta – s’è detto – nel 1981 con immediato successo, suggellato lo stesso anno dal Premio Campiello a quello che appare come il romanzo d’esordio dell’autore, allora già sessantunenne.

In scena: Luigi Lo Cascio Vitalba Andrea, Giovanni Argante, Lucia Cammalleri, Andrea Gambadoro, Nancy Lombardo, Luca Mauceri, Plinio Milazzo, Marcello Montalto, Vincenzo Pirrotta, Salvatore Ragusa, Alessandro Romano

musicisti Mario Gatto, Salvatore Lupo, Michele Marsella, Giovanni Parrinello

scene e costumi Giuseppina Maurizi

musiche e paesaggi sonori Luca Mauceri

movimenti coreografici Alessandra Luberti

luci Franco Buzzanca

produzione Teatro Stabile di Catania

www.teatrostabilenapoli.it