Di: Alessandra Staiano

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Un inedito e, non solo per questo, prezioso Raffaele Viviani è quello che Geppy Gleijeses porta in scena al Teatro Bellini di Napoli fino al 24 febbraio 2013 nella doppia veste di regista e attore. Inedito perché A Santa Lucia (titolo originale Santa Lucia nova) è una commedia che venne messa in scena nel 1943 dallo stesso autore, ma insieme a Osteria di Campagna ed è, quindi, un testo praticamente sconosciuto di quell’assoluto genio teatrale che è Viviani. Prezioso perché, come in altre opere sicuramente più note e anche più complesse, Viviani mescola versi, prosa e musica per regalare allo spettatore una serie di ritratti della Napoli del primo Novecento ben lontani dall’olografia, ma autentici, carnali, sarcastici, a tratti dolenti. E in questa loro assoluta autenticità, assai moderni. A tenere insieme questi ritratti c’è una trama, meno forte dei singoli personaggi, che serve a dare continuità alla carrellata. Che parte, di notte, davanti al ristorante “Starita” del borgo marinaro di Santa Lucia.

Chiusi i teatri e i cafè chantant è lì che si ritrovano nobili spiantati, viveur, cocotte, cocainomani, cafoni arricchiti, poeti squattrinati. E’ lì che li attendono coloro che a Santa Lucia vivono tutto il giorno: l’ostricaro, la venditrice di spigole, l’acquaiuolo, il barcaiolo. Sono i “luciani”, così li fa chiamare Viviani a zì Taniello che così li descrive “fermi come lo scoglio, il mare li corrode, li distrugge, ma non li smuove”.

Il primo atto è un piccolo gioiello di quel teatro di strada che porterà poi Viviani a opere come “Il vico” e, soprattutto, “Toledo di notte”. I personaggi “alti” e quelli “bassi”: in ceto sociale, come sulla scena. Il linguaggio borghese, infarcito di francesismi a volte improbabili, e la lingua popolare, ricca e carnosa, che nell’espressione di Tetella, venditrice di spighe- interpretata da una brava Angela Di Matteo- diventa spesso invettiva. I vizi della nobiltà decaduta, come la cocaina tanto amata da Bebè (che ha il volto del regista) e i desideri passionali del barcaiolo Jennariello (il bravo Daniele Russo), blandito da un’affascinante mondana di nome Fanny (l’elegante Marianella Bargilli) che riuscirà a farsi portare in barca e, poi, ottenere una visita del bel giovanotto nella sua casa al Chiatamone. E’ nel primo atto che va in scena la carrellata di personaggi vivianei che più restano impressi nel ricordo, grazie anche alla bravura interpretativa degli attori in scena.

Tra tutti spiccano senz’altro Lello Arena e Geppy Gleijesses soprattutto nelle vesti, il primo, del “magnetizzatore” (il regista nelle sue note lo definisce papà di Sik Sik) e della “sonnambula”, il secondo: marito e moglie si sono “inventati” declamatore e veggente per poter spillare soldi al “pollo” di turno. La loro stropicciata performance regala ben più di un sorriso. Ben costruito e interpretato da Daniele Russo anche il mendicante. Assai indovinate la scelte scenografiche di Piepaolo Bisleri che porta lo spettatore, nel primo atto, davvero in riva al mare di Santa Lucia e, nel secondo, tra i palazzi della Napoli bene.