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Teatro Bellini – Teatro Stabile di Napoli

Rino Di Martino Ernesto Mahieux

in

Uscita di emergenza

di

Manlio Santanelli

regia

Pierpaolo Sepe

scene e costumi Tonino Di Ronza

disegno luci Salvatore Palladino

Cirillo e Pacebbene sono i protagonisti di “Uscita d’emergenza“, la più celebre tra le commedie di Manlio Santanelli. La loro storia è fatta di rievocazioni di amori mai avuti, impegno per lavori non portati a termine, l’inconscia paura del terremoto, e si articola in un dialogo pieno di menzogne e offese.

“…..E’ la storia di Cirillo e Pacebbene, che per motivi differenti si sono ritrovati soli, senza casa ed hanno deciso di andare a vivere in un quartiere di Napoli completamente disabitato perché colpito dal terremoto. Queste due persone “instabili” metaforicamente parlando, malate di bradisismo al loro interno, continuano a punzecchiarsi, a spiarsi, in un gioco morboso e massacrante. Lontano dalla napolitanità di cartolina, i personaggi sono carichi di umanità dolente, fisicità, carnalità, imbevuti di rabbia e candore, di violenze ed innocenza; rapporto di comicità e latente omosessualità. Messi a dura prova da un’esistenza che ha lasciato loro soltanto l’amoroso sapore della memoria, essi non sono in grado di esprimere altra volontà se non quella di spostarsi su e giù per l’unica stanza che costituisce il loro covo in una smania di emigrare che, però, non li porta mai oltre la soglia di casa. Minacce, sospetti reciproci, equivoci e travestimenti costituiscono ormai il loro tragico e a un tempo clowenesco sistema di affrontare il vuoto quotidiano.

Manlio Santanelli

Note di regia

Non c’è niente di più comico dell’infelicità”, recitava una battuta di Samuel Beckett e Manlio Santanelli pare partire proprio da questo presupposto per comporre il suo splendido “Uscita di emergenza”, raccontandoci dell’atroce e disperata relazione tra due uomini fragili e tristi, ma irresistibilmente comici e buffi.

In una casa fatiscente e minacciosamente lesionata si consuma un rapporto composto di gelosie, di invidie, di sospetti e di minacce, il tutto, però, contrappuntato da una leggerezza che rende lieve il terribile abbrutimento nel quale i due personaggi sono sprofondati; Pacebbene e Cirillo non escono più di casa, non riescono nemmeno più a vestirsi, sono in un’oziosa, disperata, esilarante attesa della fine.

Mi piace pensare che questa storia racconti di una città rimasta intrappolata in una cultura odiosa,obsoleta, volgare e che non riesca più a rialzarsi e a ricordare la sua bellezza. Mi piace pensare che questo testo sia un monito, un grido di dolore di chi non riesce più ad amare la comunità cui appartiene ma non può nulla, o nulla gli riesce, per combatterne il degrado.

Le due anime, le due angolazioni, che si combattono senza tregua e senza regole, finiranno per rimanere schiacciate, sotterrate dalla loro stessa inettitudine, dalla loro stessa miseria, in un finale terribile quando il pallore della consapevolezza tingerà i loro volti annunciando il crollo di qualsiasi possibilità ulteriore, di ogni residua speranza di uscita.

Pierpaolo Sepe