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Giovedì 6 marzo 2014, Teatro Elicantropo di Napoli

Pazza d’amore di Dacia Maraini

In scena un testo che fa riflettere e ghiaccia gli entusiasmi dell’attuale entertainment, sui costumi e le tendenze mediatiche della nostra società

Era il 1984 quando Dacia Maraini decise di scrivere un testo di profonda satira sulla comunicazione dei mezzi televisivi. Chissà se nel suo immaginario già vedeva riflesso il linguaggio dei reality show che oggi spopolano per l’universo dei canali satellitari.

Se avesse o no in mente il format che va attualmente per la maggiore, ciò che accomuna l’ieri all’oggi e che risalta nel suo intenso monologo teatrale Pazza d’Amore, in scena al Teatro Elicantropo di Napoli da giovedì 6 marzo 2014 alle ore 21.00 (fino a domenica 9) per la regia di Emanuele Vezzoli, è un ritratto di degradazione dell’essere umano ad opera dei contorti meccanismi che governano le leggi del quarto potere.

La storia ruota intorno al racconto ‘senza pudore’ di una giovane meretrice, Renza, interpretata da Sara Pallini, che dalle pareti di uno studio televisivo conduce con veemenza nel frammentato mondo femminile attraverso i suoi ricordi, narrati in prima persona e interpolati dalla presenza-assenza del regista-intervistatore, interpretato da Antonio Lovascio.

Spinta dalla migliore amica e “collega”, che si scopre, gradualmente, essere lo stimolo motivazionale dei suoi sentimenti ed azioni, nonché l’oggetto del suo innamoramento, viene obbligata dall’intervistatore a svelare i sui segreti professionali, con la formale esortazione ad esprimere commuoventi tematiche sociali ed il recondito e scontato obiettivo di incrementare gli indici di ascolto con i piccanti particolari dell’esperienze notturne legate al lavoro della ragazza.

Dapprima eccitata dai riflettori e microfoni e confusa dalle palpitazioni emozionali che la vedono per la prima volta parlare davanti ad una telecamera, Renza inizia ad acquisire sicurezza nel dipanarsi dei racconti, quando attinge ai particolari delle sue squallide storie di letto con un senso di straniamento e critica dell’universo maschile. Al contempo, un senso di debolezza e attrazione nei confronti del suo stesso sesso la pervade, per il particolare triangolo psicologico a cui è spesso sottoposta da una coppia di colleghe ed intime amiche.

Una logica dove la sincerità diviene morbosità e l’amore solo un altro ricatto. Il risultato è alquanto grottesco. Ancora una volta lo spettacolo è foriero di un tema ricorrente nella nostra società, quello della mercificazione declinata al femminile e degli intenti ‘in-formativi’ della TV sulla quale è bene interrogarsi, oggi come ieri, soprattutto in un momento in cui è forte l’eco di un’evidente “strage” delle donne.

Storie di ordinaria follia quotidiana, che si consumano ogni giorno sui nostri canali televisivi, senza pietà per chi le subisce e anche per chi vi assiste.

Pazza d’amore di Dacia Maraini

Napoli, Teatro Elicantropo – dal 6 al 9 marzo 2014

Inizio delle rappresentazioni ore 21.00 (dal giovedì al sabato), ore 18.00 (domenica)

Info e prenotazioni al 3491925942 (mattina), 081296640 (pomeriggio) email promozionelicantropo@libero.it

Da giovedì 6 a domenica 9 marzo 2014

Napoli, Teatro Elicantropo

(repliche dal giovedì alla domenica)

Associazione Teatri e Culture

presenta

Pazza d’amore

di Dacia Maraini

con Sara Pallini e Antonio Lovascio

disegno luci Marco Zara, musiche Federica Clementi, eseguite da Pino Clementi

organizzazione Carlo Dilonardo

regia Emanuele Vezzoli

durata della rappresentazione 75’ circa, senza intervallo

La vicenda narrata in “Pazza d’amore” mostra una chiara strumentalizzazione da parte dei media nei confronti dei casi umani, mettendo in risalto anche le caratteristiche di una società fortemente maschilista. La regia si muove secondo due principali linee guida, l’ironia e il grottesco. Lontana da ogni retorica demonizzazione dei mass media, l’attenzione si focalizza piuttosto sull’uso distorto che ne viene fatto. Il personaggio della prostituta dovrebbe apparire come carne da macello, mero materiale pornografico, ma proprio l’intenzione di ridicolizzare la sua umanità ne fa emergere una potenza disarmante. Con i suoi atteggiamenti goffi, sinceri e innocenti non può che creare subito empatia nei confronti di chi, spettatore, vi si trova davanti per ascoltare le sue storie rocambolesche. Al contrario l’atteggiamento disinvolto, sicuro ma a volte impaziente del regista, restituisce un personaggio subdolo, falso e ipocrita. Il linguaggio dei personaggi oscilla tra toni alti e toni bassi, di carattere volgare –nel senso latino del termine vulgus– e citazioni colte, che arrivano quasi piovute dal cielo, proprio come si suol dire voce di popolo voce di Dio. Dal testo alla scena viene traslata questa dualità a testimonianza del fatto che la televisione, nel suo uso distorto, raccoglie davanti a sé ampie fasce sociali, ma l’ipnosi che riesce ad attuare supera ogni barriera linguistica e colpisce indistintamente ogni persona. La scelta di porre gli spettatori tra il palcoscenico/set televisivo, dove si trova la prostituta, e la telecamera accompagnata dalla presenza del regista, che si trova quindi alle spalle del pubblico, fa sì che lo spettatore abbia la sensazione di essere parte attiva nel dramma. Lo spettatore diventa contemporaneamente vittima e carnefice, partecipe dell’ingranaggio televisivo nel soddisfare il proprio voyeurismo e allo stesso tempo spiato alle spalle da un occhio indiscreto, che al momento giusto non perdona nessuno. Non resta che domandarsi: si può chiamare questa Tv in-formazione?

Emanuele Vezzoli