Di: Sergio Palumbo

Tempo di lettura stimato: 3 minuti

Per farla molto semplice, i “deciders” sono quegli individui, normalmente operanti in team specializzati istituiti nell’ambito dei cosiddetti “giganti di Internet” (ad es. Google, Facebook, etc.), cui è affidato il delicato compito di decidere se rimuovere o meno contenuti dai propri siti web, in quanto ritenuti offensivi o per altri motivi. In un’epoca in cui la rete è sempre più centrale nelle vite di tutti noi e l’informazione è sempre più veicolata tramite il web, il ruolo ricoperto dai “deciders” assume via via una rilevanza più spinta e le decisioni assunte da questi gruppi diventano sempre più delicate, con il rischio sempre più concreto (e in alcuni casi già verificatosi) di diventare l’innesco di aspre polemiche ed incidenti diplomatici che possono avere conseguenze potenzialmente anche molto gravi.

Francesco Marrazzo, giovane dottore di ricerca in Sociologia e ricerca sociale ma già con un curriculum di tutto rispetto alle spalle nell’ambito della sociologia dei nuovi media, nella sua prima monografia “Deciders. Chi decide sulla Rete”, edito da Dante & Descartes, analizza il fenomeno dei “deciders” da una prospettiva principalmente sociologica, ma che non manca di interessi elementi propositivi sul fronte regolamentare.

L’autore parte dalle due principali cause dell’emergere della necessità della figura dei “deciders”: lo “hate speech”, ossia le manifestazioni di odio su Internet e sui social network ed il diritto all’oblio in rete. Per entrambe le problematiche, l’autore offre elementi di recente attualità che fanno comprendere l’entità del fenomeno ed i problemi ad esso correlati, raccontando come e quali decisioni siano state prese per arginarne le possibili conseguenze. Nell’inquadrare i fenomeni in prospettiva sociologica, l’autore, partendo dall’analisi di Lee Rainie e Barry Wellman, descrive prima di tutto quello che definisce un nuovo sistema operativo sociale: il networked individualism, in cui le persone operano come individui connessi piuttosto che come membri integrati in un gruppo. Nell’analisi di questa nuova formazione dell’identità individuale, l’autore cita gli studi e le riflessioni di autorevoli interpreti del pensiero sociologico, tra cui Alberto Abruzzese, Jurgen Habermas e Derrick de Kerckhove, presentando altresì numerosi dati sull’utilizzo dei mezzi di informazione e dei social network, sentenze ed orientamenti giurisprudenziali ed interessanti elementi di cronaca a supporto della propria analisi. Di grande impatto la riflessione dell’autore sul concetto di memoria e di come lo stesso evolva nel senso di una “memoria comune”, che integra la dimensione culturale e quella mnenomica e che l’autore ritiene perfettamente conciliabile con la mediazione operata dal social networking.

Dopo questa attenta analisi delle cause, l’autore entra nel vivo del tema “deciders” nel terzo capitolo, incentrato su una disamina del ruolo dei cosiddetti “Over-The-Top” come istituzioni della Rete. Difatti, le sentenze della Corte di Giustizia della UE nonché di diversi tribunali, sia italiani che internazionali, che l’autore cita e descrive con grande puntualità, rischiano di delegare ai “giganti del web” l’esercizio di “forme privatistiche di governance sulle libertà individuali e civili”, di cui vengono evidenziate in dettaglio le possibili criticità in termini di arbitrarietà, trasparenza, unilateralità e sindacabilità delle decisioni assunte, e portando esempi concreti di come queste scelte possano portare a significative distorsioni dell’esercizio di questo potere decisionale, che è sempre più delegato ad algoritmi e tecniche automatiche, citando l’articolo di Lawrence Lessig “Code is law”. Al riguardo, l’autore propone, in prima istanza, l’introduzione di un team di ricercatori, noto come “discussants”, proveniente dal campo delle scienze sociali, da affiancare i legali dei team dei deciders.

Ma la vera ricetta suggerita da Marrazzo è quella di identificare i soggetti naturalmente deputati ad occuparsi in maniera olistica del settore delle comunicazioni e di Internet, ivi inclusa la Internet governance, nelle Autorità Nazionali di Regolamentazione e che quindi le stesse vadano investite di quel ruolo decisionale attualmente affidato a soggetti privati, riportandolo nell’alveo istituzionale. A tal fine, l’autore descrive ed analizza le nuove sfide per il regolatore, che dovrà essere sempre più attento ai diritti e alle competenze dei cittadini digitali, ispirandosi a “principi di velocità e semplicità, per proporre quelle spinte gentili che rendano importante e al tempo stesso centrale il suo ruolo nello sviluppo del sistema operativo sociale basato sui network”.

L’ultimo capitolo è uno sguardo al futuro, che in un universo sempre più connesso, caratterizzato dall’affermarsi dell’ubiquitous computing, viaggia sempre più in direzione del cosiddetto “Internet delle cose”, di cui vengono descritte opportunità e potenziali rischi, ma anche e soprattutto il possibile ruolo di guida strategica dei mass media.

Pieno di stimolanti spunti di riflessione e di numerosi elementi di attualità, “Deciders. Chi decide sulla Rete” è una lettura molto interessante, che ha il fondamentale merito di offrire una visione d’insieme sul fenomeno dei “deciders”, unendo il rigore scientifico della prospettiva sociologica ed una dettagliata cronaca degli eventi più rilevanti sul tema con le considerazioni e le proposte dell’autore per far fronte alle criticità descritte.