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Da mercoledì 27 novembre a domenica 8 dicembre al Teatro Mercadante

va in scena in prima nazionale lo spettacolo

La panne di Friedrich Dürrenmatt
su traduzione di Eugenio Bernardi e la regia di Alessandro Maggi
con

Nando Paone, Vittorio Ciorcalo, Patrizia Di Martino

Stefano Jotti, Alberto Fasoli, Giacinto Palmarini

La produzione è del Teatro Stabile Napoli – Teatro Nazionale

Debutta in prima nazionale, mercoledì 27 novembre con repliche fino a domenica 8 dicembre, lo spettacolo La panne, testo di Friedrich Dürrenmatt, nell’adattamento e la regia di Alessandro Maggi e la traduzione di Eugenio Bernardi.

Ne sono interpreti Nando Paone (nel ruolo del Sig. Zorn, ex pubblico ministero), Vittorio Ciorcalo (in quello del Sig. Pilet, oste ed ex boia), Patrizia Di Martino (è Simonettala governante), Stefano Jotti (è il padrone di casa, ex giudice), Alberto Fasoli (è il Sig. Kummer, ex avvocato), Giacinto Palmarini (è Alfredo Traps, rappresentante di commercio).

Le scene e i costumi sono di Marta Crisolini Malatesta; il disegno luci è di Gigi Saccomandi; le installazioni video sono di Alessandro Papa.

Composto nel 1956 da Friedrich Dürrenmatt, geniale autore svizzero del secolo scorso, e adattato per un radiodramma nel 1961, La Panne affronta un tema capitale, e molto frequentato da Dürrenmatt: la verità.

La vicenda: un agente di commercio, Alfredo Traps, ha l’auto in panne, e trova rifugio per la notte nella villa di un ricco giudice in pensione. Ogni sera, il giudice ospita altri amici pensionati, con i quali condivide un singolare passatempo: organizzare processi fittizi, a personaggi storici o a malcapitati di passaggio nella sua villa. Per andare a processo, non è necessario aver commesso un crimine – o perlomeno averne coscienza: nel gioco raffinatissimo dei vecchi pensionati, l’accertamento della colpevolezza può prescindere dall’accertamento dei fatti. È quello che succede al povero Traps, che nel corso di una cena luculliana si trova improvvisamente accusato di un omicidio che non sapeva di avere commesso. O meglio ancora: che era certo di non avere commesso. La bravura del pubblico ministero, però, si insinua nel racconto di Traps, lo deforma e lo forza quasi impercettibilmente, finché il povero agente di commercio si ritrova a confessare un delitto che non ha commesso. In un clima spensierato, quasi comico, Dürrenmatt ci mette di fronte a una domanda tragica, a un interrogativo abissale: esiste una verità dei fatti, oggettiva e immutabile, e in quanto tale accertabile sempre, da chiunque? O, piuttosto, la verità è un artefatto, la ri-costruzione che ognuno di noi fa, per sé e per gli altri, di quel processo casuale e per sua natura sempre caotico che è la vita?

Info e orario delle rappresentazioni su: www. teatrostabilenapoli.it

Biglietteria: tel. 081.5513396 | e.mail: biglietteria@ teatrostabilenapoli.it

Note

La teoria del nulla: Friedrich Dürrenmatt

In un suo testo giustamente celebre, La morte della Pizia (1976), il grande autore svizzero Friedrich Dürrenmatt immaginava un antefatto diverso per la vicenda di Edipo: ben lungi dall’essere stata ispirata da un dio maligno, la profezia della Pizia («ucciderai il padre e giacerai con la madre») è una pura invenzione, e la catena di fatti che porta Edipo a realizzarla non è la macchina infernale che tutti hanno sempre visto all’opera, ma una serie impressionante di eventi fortuiti, interessi privati e auto-suggestioni. In modo analogo, La promessa, un romanzo giallo pubblicato nel 1958, metteva un investigatore testardo di fronte al suo scacco: pur avendo seguito il metodo di indagine razionale classico di Sherlock Holmes, il poliziotto viene beffato dal caso, che gli sottrae il colpevole e lo sprofonda nella falsa consapevolezza di non aver fatto fino in fondo il suo dovere.

Quella che emerge da questo breve riassunto potrebbe sembrare una poetica della dissacrazione, e in parte lo è: con intelligenza e talento drammatico sopraffini, Dürrenmatt dissacra e smonta alcuni capisaldi della letteratura e del pensiero occidentali: che la vita degli uomini sia retta da un fato illeggibile che la determina (come nella tragedia di Edipo), o che esista un corso intelligibile delle cose, che la ragione può rintracciare e, operando appunto nel perimetro del razionalismo, ricostruire per intero (come in un libro giallo). Ma la dissacrazione di Dürrenmatt non è fine a se stessa, e non è puro sfoggio: è radicata in una visione filosofica che non fa sconti, se si vuole persino in una metafisica. Nel secolo che elaborerà la ‘teoria del tutto’, una teoria cosmologica che ha l’ambizione di spiegare, tramite la ragione, il meccanismo complessivo dell’universo, Dürrenmatt elabora una teoria del nulla: e se nulla avesse senso? Se tutto fosse retto soltanto dal caso, e la sequenza degli eventi che compone le nostre vite, la nostra verità, non fosse altro che una catena di fatti casuali, privi di connessione l’uno con l’altro?

La teoria del tutto – qualsiasi teoria del tutto: anche quella greca del destino onnipotente, o quella ottocentesca della ragione che fa luce nei misteri – parte dal presupposto che esista una connessione chiara, non ambigua e razionale tra gli eventi del mondo. Per comprendere questi eventi, dunque, è sufficiente applicare, a gradi di raffinatezza sempre superiori, la nostra ragione: poiché tutto avviene in modo razionale, basta la ragione per dipanare l’insieme delle cose, e pervenire così a una ‘teoria del tutto’. Dürrenmatt ci sfida a contemplare un’alternativa, intellettualmente provocatoria e  coraggiosa: partire dal presupposto che non esistano legami chiari e razionali fra le cose del mondo, che tutto sia dominato dal caos e nulla sia pertanto conoscibile o prevedibile. La nostra ragione, allora, non sarebbe uno strumento infallibile di conoscenza, ma un mezzo di auto-inganno: suggestionati dall’idea che tutto debba avere un senso, operiamo per trovare un senso anche laddove un senso non esiste. La ragione non è così una luce che ci fa strada nell’oscurità, ma l’opposto: un velo di inganno che ci fa immaginare che esista un tutto ordinato, quando invece ci troviamo davanti un nulla caotico.

Dürrenmatt, il greco

La costruzione della Panne è però ancora più sottile e abissale, e ci pone davanti a un quadro più fosco e complesso. La ricostruzione del pubblico ministero, per quanto fittizia, perviene infatti a una verità che non è la verità dei fatti, ma è una verità ancora più profonda: tra lo sconcerto generale, Traps riconosce di aver desiderato commettere il crimine di cui è accusato, e il desiderio è così sincero che da corpo all’omicidio. Ciò che porta Traps a confessare, insomma, non è pura auto-suggestione, ma la percezione di una verità ulteriore, più intima e per questo inconfessabile fino in fondo.

Questo spiraglio tremendo riapre le porte al tragico: se è vero che Traps è profondamente colpevole (così profondamente da trascendere persino i nudi fatti e l’autocoscienza), allora il suo arrivo casuale alla cena dei vecchi è un vero scherzo del destino. In una sequenza di casualità, la vicenda di Traps assume una dimensione diversa, superiore, tale da invitare a domandarsi se non ci sia davvero un disegno preordinato degli dei, che ha portato un agente di commercio qualsiasi a diventare un vero e proprio eroe tragico, il simbolo del ritorno del destino nelle nostre vite e nell’insieme dell’universo. Partito da un rifiuto netto di qualsiasi tentativo di trovare un senso nelle cose, Dürrenmatt (e con lui i suoi personaggi) si ritrova, per ironia della sorte, a contemplare la possibilità che un senso, dopo tutto, esista. La panne diventa così una vera e propria tragedia greca, lacerata tra la speranza e il terrore di avere trovato un significato alle nostre esistenze.

Alessandro Maggi