Di: Maresa Galli

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Al Teatro Elicantropo, in prima assoluta, è andato in scena “Musica, Maestro!”, inedito di Santanelli scritto per Roberto Azzurro che ne regala un meraviglioso reading. “Molti anni fa, circa venti – spiega Roberto Azzurro, interprete e regista della pièce – Santanelli mi propose di leggere i suoi racconti, che a quel tempo non erano ancora stati mai pubblicati, e nacque così “La terza faccia della medaglia”, che insieme a “La venere dei terremoti” e a “Per oggi non si cade” rappresenta un trittico che a distanza di anni io ancora porto in scena. Sì, Santanelli, oltre a essere il grande drammaturgo che tutti noi conosciamo, approcciando la lingua letteraria diventa forse ancor più visionario e appunto spericolato, giacché la lingua scritta può arrivare laddove a volte il teatro sembra non poter giungere. Ovviamente io cerco e spero di smentire ogni volta tutto questo”. Entra in scena un celebre direttore d’orchestra che, in un tempo brevissimo/infinito, prima di condurre l’orchestra ad alte vette, si racconta, straripante, come un corso d’acqua che ha rotto gli argini. Dinanzi al musicista un’orchestra invisibile, come il pubblico, anch’esso invisibile – dinanzi è il caos da riordinare, svuotando il cervello dalla “spazzatura mentale”. E la mente torna ai ricordi d’infanzia e giovanili, ai primi turbamenti quando, dodicenne, ammirava una ragazza di vent’anni: Franca, che belle gambe! Così l’uomo lascia che i suoi pensieri scorrano in libertà, sulla vita, l’eros, Priamo e i suoi cento figli, su Katia, la violinista, con la quale ci scappò un figlio. Da “piscialletto” ad adolescente studioso al Conservatorio, impegnato politicamente, quanta strada fatta in un lampo… E poi tanti altri incontri fatidici, come quello con Rosaria, primo violino dei Wiener, e il loro bel viaggio da mille e una notte a Granada, prima che la donna si rivelasse mentalmente chiusa, una delusione, una delle tante. E la memoria torna al dolce volpino trovato all’uscita da un ricovero della guerra, fido compagno che poi si ricongiunse al suo padrone. E la sorella, testarda, separata dal marito al quale aveva donato un rene pretendendone la restituzione, rene vagabondo che troverà altra ospitalità e impossibile restituzione, assurdo scherzo del destino. La scrittura di Santanelli è un fiume in piena e, come sempre, possiede una vena grottesca, trasformando il surreale in realtà, capace di costruisce nuove dimensioni e nuovi approdi – Sein und Zeit, fino al Da-sein che ci precipita nella vita, difficilmente capaci di coglierne il senso più profondo. Il direttore d’orchestra, che dirige senza partitura, elucubra, ricorda, si interroga fin quando vede liquefarsi sotto i propri occhi Arsenio Asmundis, che si trasforma come fosse una macchina leonardesca, sconvolgente, orripilante, in una discesa collettiva agli Inferi. Un finale spiazzante, con l’eco della Sinfonia n. 4 in fa minore, di Čajkovskij che risuona nelle menti. Strepitoso, come sempre, Roberto Azzurro nel rendere il sublime, cupo, straniante testo di Santanelli, che racconta storie con il suo stile unico, prezioso, che mette a nudo l’anima. Di grande espressività e mimica, Azzurro dà mirabilmente corpo alle parole, trasformando il delirio in lucidità e la realtà in incubo. All’inizio, si sorride anche, per poi precipitare nella cupezza: una vita normale, anche brillante ma provata da tragiche esperienze distorce qualunque destino.