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«E se ora, lontano. Un’altra voce esiste». È questo il titolo del film documentario, girato ad aprile 2025 in Umbria e prodotto da Phausania Film. Ispirato al Decamerone di Boccaccio, il film è stato girato quasi interamente in un’antica Pieve del XII sec., oggi sconsacrata e trasformata in residenza privata, dove il gruppo di giovani protagonisti, la troupe e i proprietari hanno convissuto per dieci giorni, il tempo delle riprese.
Abbiamo incontrato il regista del film Massimo Selis e la moglie Belinda Bruni, che ne ha firmato insieme a lui il soggetto e la sceneggiatura, per scoprire in anteprima gli obiettivi e i retroscena di questo lavoro in uscita nelle sale prossimamente.
Perché i giovani e perché proprio i protagonisti selezionati?
B. Ci incuriosiscono le voci “stonate”. Come artisti e come genitori abbiamo notato le voci dei giovani che si distinguevano dal coro costruito dai media e dai social. Il coro racconta una generazione fragile, ipertecnologizzata, che vive per apparire, che ripete slogan e ha ambizioni solo materiali.
Poi ci sono voci che raccontano altre storie e altre visioni e queste voci non hanno risonanza e non fanno visualizzazioni. I nostri protagonisti sono giovani tra i 19 e i 25 anni che studiano, lavorano e vengono da esperienze diverse.
Come li avete stanati?
M. Siamo andati alla ricerca di queste voci, tramite un passaparola che ha coinvolto tutta Italia. Le abbiamo ascoltate per molti mesi. Ci siamo guadagnati la loro fiducia ascoltandoli in totale libertà. Abbiamo infine costruito un piccolo gruppo con personalità diverse ma che potessero convivere e creare una speciale alchimia.
Quali temi vengono affrontati e come sono stati scelti?
B. “Di cosa è difficile parlare oggi? Di cosa senti l’urgenza di parlare?”: sono queste le prime domande che abbiamo posto ai ragazzi. Spesso noi ci siamo limitati ad ascoltare in silenzio. Ci siamo piacevolmente sorpresi nello scoprire che diversi temi, pur nelle differenti sfaccettature, tornavano sempre. Tra i più sentiti il rapporto con la tecnologia e il come usarla senza esserne usati; il bisogno e la ricerca di relazioni autentiche e profonde in un mondo dove tutto è mercificato, dove tutto è un dare-avere; come ripensare un impegno politico dei giovani e quali margini di movimento e costruzione ci sono, la responsabilità personale e comunitaria verso la società civile; l’immagine del futuro in un mondo che sembra preannunciare solo disastri, il rapporto tra il presente che è eredità lasciata loro e il futuro come possibilità anche di cambiare direzione; ma anche la morte e il come stare di fronte ad essa che è un tema su cui fanno fatica a confrontarsi anche molti adulti. E altri ancora.
Quali sono state le difficoltà affrontate sul set che non avevate previsto? E cosa d’inatteso vi ha stupito, invece, positivamente?
M. Molte sono state le sorprese inattese a cominciare dalla comunione che si è creata già la sera dell’arrivo, tra generazioni diverse, una vera esperienza di comunità mentre fino a quel momento i contatti erano avvenuti tramite videochiamate. Un’altra grande sorpresa è stato il loro apporto creativo, in particolare musicale. È un film dove si è suonato e cantato e alcuni hanno anche composto una canzone per il film.
La difficoltà principale, invece, era mettere ragazzi non attori nella condizione di muoversi spontaneamente davanti alla macchina da presa. Era prevista e ci abbiamo lavorato, cercando di mettere tutti nella condizione di dare il meglio. Di non previsto ci sono stati i “guai” tecnologici che abbiamo prontamente arginato. Forse la tecnologia sentendosi criticata dai giovani protagonisti, ha cercato il suo modo di ribellarsi.
In questo lavoro cosa c’è di veramente originale e diverso rispetto ad altri prodotti simili?
B. Innanzitutto, è un documentario che mescola vari elementi di finzione. Non è e non vuole essere uno spaccato del mondo giovanile, né tantomeno un’inchiesta, non sono interviste. È una voce che non ha avuto voce.
Stilisticamente abbiamo deciso di intervallare due sguardi e quindi due modalità registiche che si distingueranno anche per una diversa color e un diverso lavoro sul sonoro. Uno vuole essere lo sguardo dei giovani su loro stessi, l’altro è lo sguardo dell’autore. Nel film si ride anche ma certamente predomina un tono riflessivo che chiede allo spettatore di immergersi nel mondo di questi ragazzi. Crediamo che l’originalità sia l’opera stessa.
Per questo film è in corso una campagna di crowdfunding per raccogliere fondi…
M. In questo tempo secondo noi la raccolta fondi dal basso è un’opportunità significativa per l’arte indipendente anche se in Italia è compresa di più per progetti sociali. Negli Stati Uniti, invece, è “normale” e quindi molti progetti vengono finanziati in questo modo. Noi che dall’America prendiamo fin troppe cose, questa fatichiamo ancora a farla nostra. Perché qui c’è in gioco la fiducia che abbiamo negli altri. Da qui per noi si esplicita l’alto valore del finanziamento dal basso, di un ritorno al mecenatismo, di una comunità che si fa sostegno vitale per un’arte libera. Ecco, noi abbiamo coperto circa il 50% del budget del film con fondi personali perché siamo i primi a credere nella forza di questo progetto. Crediamo che questo sia un segnale per chiedere la fiducia a chi vorrà sostenerci. Chi vuole può contribuire qui: www.eppela.com/lavocedeigiovani.
– L’importanza del cinema indipendente e in che modo è iniziata la storia della vostra società di produzione?
B. Il cinema indipendente è forse l’unica strada per chi vuole osare sia nei contenuti che nella forma. Il nostro paese vive un’omologazione artistica e il caso dei finanziamenti poco chiari dati a tante produzioni che ha scatenato molte polemiche, non ha portato nessun miglioramento né apertura di maggiori possibilità per chi vuole proporre un cinema fuori dagli schemi: anzi, tutt’altro. Phausania Film nasce ufficialmente nel 2022 ma la sua idea parte da lontano e prende forma nel corso della pandemia, un periodo così turbolento da poter rappresentare l’occasione propizia per creare una nostra casa di produzione con cui proporre un cinema che non si ferma all’immediatezza ma prova a portare sullo schermo anche “l’invisibile”. Il nome è quello antico della zona dove sorge Olbia, città in cui viviamo, e in sé porta la parola greca phos che significa luce, e il cinema senza luce non potrebbe esistere.
Tra i sogni e la realtà, quale futuro immaginate per questo lavoro? È possibile annunciare già qualcosa?
M.“E se ora, lontano” è un film pensato per il cinema. Abbiamo già un pre-accordo con una casa di distribuzione con cui andranno decisi i tempi d’uscita. Allo stesso tempo sappiamo che il cinema indipendente travalica il circuito delle sale cinematografiche per trovare ospitalità anche in altri luoghi di cultura come piccoli teatri, circoli e associazioni, spazi all’aperto. Di certo un film indipendente come il nostro ha bisogno di un particolare tempo per la promozione, per suscitare interesse e curiosità e per poi ingenerare un passaparola che racconti il perché andarlo a vedere.
È per questo che ve lo raccontiamo già adesso.












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