Di: Sergio Palumbo

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“Un ballo in maschera”, di Giuseppe Verdi, torna al Teatro San Carlo di Napoli dopo sei anni dall’ultima rappresentazione e, dopo il debutto nel ruolo di Amelia di Anna Netrebko il 4 ottobre 2025, la recita del 5 ottobre ha visto in scena il secondo cast, con Oksana Dyka (Amelia), Vincenzo Costanzo (Riccardo) ed Ernesto Petti (Renato).

La proposta registica di Massimo Pizzi Gasparon Contarini, derivata dall’allestimento storico di Pierluigi Samaritani (Regio di Parma, 1989) e rielaborata con nuovi apporti scenografici e drammaturgici, rimane complessivamente tradizionale ma non priva di scelte coraggiose. L’impianto scenico gioca su una classicità ricca e ben curata: le belle scene dipinte non appesantiscono la lettura, i curatissimi costumi restituiscono eleganza e senso della collocazione storica, mentre il disegno luci, dello stesso Pizzi, valorizza profondità e punti focali senza stranezze gratuite. La regia è nel complesso misurata: privilegia il racconto dei rapporti (triangolo amoroso e dinamiche di potere) più che provocazioni iconoclaste. L’unico momento che rompe leggermente questo equilibrio è la scena del sabba nell’antro di Ulrica, trasformata in sequenza quasi orgiastica: è una nota più moderna e sensoriale rispetto al resto dello spettacolo, ma non disturba la coerenza complessiva, piuttosto offre un contrappunto espressivo che evidenzia il lato “pagano” e tenebroso della vicenda. Le coreografie di Gino Potente e la partecipazione della Scuola di Ballo del San Carlo sono integrate con buona misura, contribuendo agli ensemble e agli affollamenti scenici senza mai risultare eccessive.

Sotto la bacchetta di Pinchas Steinberg l’Orchestra del Teatro di San Carlo si muove con complicità e misura. La lettura è rispettosa della partitura verdiana, con una scansione chiara delle dinamiche e attenzione al fraseggio. Steinberg privilegia una tessitura sonora limpida: i legni e i colori degli archi emergono con naturalezza, garantendo al tempo stesso gli appoggi necessari ai cantanti nei momenti più drammatici e un buon equilibrio tra palco e buca. Il coro, preparato da Fabrizio Cassi, si presenta solido e puntuale: i passaggi corali, che in quest’opera spesso funzionano da commento morale e da spina dorsale drammatica, sono ben calibrati e incisivi quando necessario.

Ottima la prova di Vincenzo Costanzo, che affronta il personaggio di Riccardo con una linea di canto ben proiettata, controllo degli acuti e una coloritura timbrica che gli consente sia slancio romantico sia la necessaria plasticità nelle frasi più fluide. La dizione è chiara, il fraseggio coerente e la sua presenza scenica sostiene la parte da protagonista senza forzature. Nei duetti con Amelia usa un legato ponderato, facendo percepire il conflitto tra ardore personale e ruolo pubblico.

Ernesto Petti, nel ruolo di Renato, parte con qualche incertezza, ma si riprende notevolmente con il progredire della drammaturgia: la voce si apre, il sostegno respira meglio e il fraseggio diventa incisivo. Il terzo atto è il vero punto di forza della sua performance: qui il baritono mostra nerbo, incisività espressiva e una padronanza drammatica che coinvolge la platea. La sua esecuzione dell’aria “Eri tu che macchiavi quell’anima” merita l’ovazione del pubblico.

Oksana Dyka affronta il ruolo di Amelia, tecnicamente e psicologicamente arduo, con coraggio e una buona idea interpretativa. La sua voce si impone con una potenza impressionante negli acuti, sempre sicuri e luminosi, capaci di dominare l’orchestra senza mai perdere smalto. Tuttavia, nei passaggi più gravi emergono alcune incertezze d’appoggio che rendono la linea vocale meno omogenea, con momenti in cui il suono tende a farsi più sottile e meno sostenuto. Il timbro, naturalmente chiaro e metallico, offre slancio e intensità ma rivela, in certi frangenti, una lieve asprezza che ne attenua la morbidezza.

Debutto convincente al San Carlo per Elizabeth DeShong: la sua Ulrica ha autorità vocale e presenza scenica dalla raffinata teatralità. La voce, di corpo consistente e ben proiettata, si distingue per un registro centrale denso e vellutato, sostenuto da un controllo del fiato impeccabile e da un fraseggio sempre misurato, con una cura del colore e un’intelligenza musicale che rendono ogni frase espressiva e coerente. Gli acuti, sicuri e perfettamente a fuoco, si innestano senza sforzo nel tessuto vocale, dimostrando una grande omogeneità d’emissione.

L’Oscar di Cassandre Berthon non convince completamente. Il personaggio, che richiede agilità, furbizia e un certo brio giovanile, qui suona corretto ma un po’ monocorde: la brillantezza, l’agilità vocale e la vivacità scenica che rendono il paggio figura di contrasto e leggerezza non emergono in pieno.

Bene anche Romano Dal Zovo, solido e incisivo nel ruolo di Samuel, Adriano Gramigni, che offre un Tom vivace e funzionale, Maurizio Bove, che mostra promettenti qualità nel ruolo del marinaio Silvano e Massimo Sirigu, che si destreggia con disinvoltura nel doppio ruolo del Giudice e del Servo di Amelia.

“Un ballo in maschera”, di Giuseppe Verdi, regia di Massimo Pizzi Gasparon Contarini, sarà in scena al Teatro San Carlo di Napoli fino all’11 ottobre 2025.

Link: il sito del Teatro San Carlo di Napoli – www.teatrosancarlo.it