Tempo di lettura stimato: 11 minuti

E’ stata presentata presso lo Spazio Nea, la stagione 2016 del Teatro Il Siparietto (che dopo otto anni segna la riapertura della piccola sala di San Giorgio a Cremano) per la direzione artistica di Gianmarco Cesario il quale, nel corso della conferenza stampa, ha illustrato le linee artistiche adottate, mirate ad una proposta di “piccolo teatro generalista”, in cui sono compresi i generi più svariati dell’arte scenica, dal teatro musicale alla prosa d’autore, dal genere brillante a quello drammatico, senza trascurare la nuova drammaturgia.
La stagione sarà aperta il 9 gennaio da Gigi Savoia nella trasposizione teatrale dell'”Ultimo giorno di un condannato a morte” di Victor Hugo, il quale ha dichiarato la sua soddisfazione nell’essere all’interno di un cartellone che apre le porte ad un teatro di interpreti teatrali puri, che nulla hanno a che vedere con la logica commerciale che spesso condiziona le programmazioni dei teatri, livellando la qualità verso il basso. Seguirà, due settimane dopo, la novità di Massimo Andrei “Non farmi ridere, sono una donna tragica”, con lo stesso Andrei e Gea Martire, che hanno raccontato la nascita di questo progetto, un vero e proprio trattato umoristico sull’amore, che l’autore ha intrapreso partendo nientemeno che da Platone. Si prosegue poi con lo spettacolo di Massimo Masiello “Gli amici se ne vanno”, scritto a quattro mani dal direttore artistico Cesario e dallo scrittore Antonio Mocciola, ispirato alla figura del cantautore Umberto Bindi, quindi sarà la volta di “Pacchiello” lo spettacolo che vede protagonista e regista Roberto Capasso, e di cui è autore Pasquale Ferro. Capasso, oltre ad illustrare lo spettacolo, storia di uno strozzino deforme e crudele, con chiari riferimenti alla figura di Riccardo III, si è anche detto contento della riapertura dello spazio teatrale che già in passato lo ha visto protagonista e, da cittadino di San Giorgio a Cremano, ed ha garantito la sua collaborazione nella gestione del teatro. Nunzia Schiano ha poi presentato lo spettacolo “Femmene” che da due anni miete lusinghieri successi grazie alla bravura e simpatia dell’attrice, ed al solido apporto di Myriam Lattanzio, che, oltre ad essere protagonista ins cena per la parte musicale (ispirata alle cantautrici in lingua ispanica) è anche autrice, con Anna Mazza dei monologhi che la Schiano interpreta in scena, tutti improntati su donne in attesa alla fermata di un autobus, che raccontano la loro vita, le loro gioie ed i loro dolori. Un’altra primadonna del teatro musicale sarà la protagonista di “Donna in…canto”, il sesto appuntamento in cartellone, si tratta di Antonella Morea che nello spettacolo traccerà la storia della sua carriera, da De Simone a Patroni Griffi, da Pino Daniele a Nino D’Angelo. Top secret invece il contenuto dello spettacolo che vede protagonista la “strana coppia” formata dai bravissimi Ernesto lama e Rosaria De Cicco, dal titolo, manco a dirlo “Una coppia da definire”. Roberto Azzurro porterà invece a San Giorgio il suo spettacolo cult “Unalampa”, invettiva teatrale contro i vizi napoletani, mentre concluderà la programmazione di questa stagione la rilettura del “Macbeth” di Mirko Di Martino, il quale ha anticipato che ridurrà la tragedia shakespiriana in modo da far ruotare solo tre attori nell’interpretazione di tutti i personaggi, nel cast, per due terzi ancora da definire, l’attrice Titti Nuzzolese. Ha chiuso la conferenza stampa il fondatore del Teatro Il Siparietto, Salvatore Ceruti, che ha dichiarato il piacere di riaprire, dopo sette anni, questa sala che nel corso della sua “prima vita” ha goduto della presenza di tanti artisti, piacere rinnovato nel vedere molti di loro, insieme a tanti altri, ritornare a calcare la scena di questo piccolo gioiello che arricchisce notevolmente il territorio di San Giorgio a Cremano.

Negli ultimi anni ci hanno, ahimè, abituati alle notizie sulle chiusure dei teatri. Siamo, quindi, particolarmente emozionati ed anche orgogliosi nell’annunciare che all’alba del 2016 ci sarà l’apertura, anzi, la riapertura di una sala teatrale, con l’ambizione di essere un punto di riferimento per il vero teatro nel comune di San Giorgio a Cremano.

Ringrazio Salvatore Ceruti, il fondatore di questa piccola ma graziosissima sala teatrale, per la decisione di riaprirla al pubblico, dopo una parentesi di fermo.

È una sala Il Siparietto che vanta già una storia di tutto rispetto, avendo ospitato, negli anni della sua attività, tanti nomi ancora oggi legati ad essa e molti dei quali ritornano in questa nuova vita che Ceruti ha, bontà sua, voluto fosse condotta dal sottoscritto, come direttore artistico e come gestore con l’ Associazione ARIES.

Ai nomi degli artisti che ritornano si aggiungono quelli di quelli che, invece, sono qui per la prima volta, ed è stato una grande gioia per me poter condividere con tutti loro l’emozione dell’inizio di quest’avventura.

Quello che, inoltre, mi preme sottolineare, sono le motivazioni che mi hanno spinto ad organizzare un cartellone così variopinto: un caleidoscopio di generi e linguaggio, che intende offrire al pubblico un ventaglio di proposte che accontentino un po’ tutte le esigenze ed i palati: grandi classici, nuova drammaturgia, drammi, commedie brillanti, recital musicali. Il nostro intento è quello di favorire un ritorno al teatro ed i nomi degli ottimi professionisti che abbiamo chiamato e che con entusiasmo hanno aderito, ci offre l’opportunità di un’ ottimistica previsione che quest’intento lo si possa raggiungere con successo.

Gianmarco Cesario

Direttore Artistico

TEATRO IL SIPARIETTO

SABATO 9 GENNAIO

Gigi Savoia

L’ULTIMA ORA DI UN CONDANNATO A MORTE

da Victor Hugo

regia Marco Kretzmer

Nei sobborghi di Parigi un uomo rinchiuso in cella attende il giorno della sua condanna a morte. Tra le mura di quella orribile prigione è solo con le sue emozioni, le sue sensazioni. Tocca le pareti, le osserva, scova nomi e ricordi tracciati nella disperazione e avverte la presenza di tanti uomini che prima di lui hanno vissuto questa infernale attesa. Così Victor Hugo nel 1829 immaginava le ultime ore di un condannato a morte. Un romanzo che sebbene sia stato scritto quasi due secoli fa diviene attualissimo in un epoca come la nostra in cui la pena capitale esiste ancora. La cosa più triste è che questa pena viene ancora concessa con leggerezza, talvolta allo scopo esclusivo di ricevere qualche consenso in più alle elezioni. Un testo che contiene un profondo insegnamento ed assurge ad ammonimento per coloro che così facilmente sono pronti a privare un uomo della propria vita. A lottare contro questa barbarie nacque nel 1961 Amnesty International, una organizzazione non governativa sovranazionale impegnata nella difesa dei diritti umani che conta più di 2 milioni di sostenitori. Per festeggiare i 50 anni dalla nascita di questa organizzazione, Gigi Savoia decide di mettere ancora una volta in scena il testo del succitato drammaturgo francese “L’ultimo giorno di un condannato a morte”. La riduzione dell’attore partenopeo vive su una scena cupa e minimalista mentre l’aria si riempie delle note di due musicisti, suoni dal vivo che rendono ancor più suggestiva l’atmosfera. Savoia personifica quest’uomo di cui non si dice mai in nome e non si racconta la colpa. Un uomo che racconta e rivive le sue sofferenze morali in quello che è il giorno più lungo ed estenuante della sua vita, una vita oramai volta al termine.

SABATO 22 GENNAIO

Gea Martire Massimo Andrei

NON FARMI RIDERE SONO UNA DONNA TRAGICA

Studio sull’amore inutile

testo e regia Massimo Andrei

Musiche Mater Sonora

Costumi Annalisa Ciaramella

Aiuto regia Mario Vezza

Lo studio sull’amore è trifase:

I fase – Silvana è delusa dall’amore, o meglio, dagli amori della sua vita. Uno l’ha lasciata, uno le fa perdere tempo, uno è morto e un altro è desideratissimo. In realtà voleva risposarsi con uno o sistemarsi nel benessere di un altro Ma non riesce a intessere una storia, né a innamorarsi, né a fare innamorare gli altri. Niente amore, niente uomini. Nel momento della massima frustrazione e tragica esistenza…va a prendere possesso dell’eredità di suo marito appena morto: una villa. Qui incontra un suo antico amante, Carmine, che fa il giardiniere e che la invita a risollevarsi. A riprendere in mano la sua vita. Silvana, dura come sempre, attacca e colpisce sui sentimenti anche il giardiniere.

II fase – Silvana cambia tutto della sua esistenza: casa, economia, approccio col mondo esterno, rapporto col figlio, rapporto col proprio corpo…travolge il giardiniere in un ballo estenuante…finisce per esagerare, ma nonostante questo crede di aver trovato l’amore. Un amore totalizzante. Non è più una donna tragica. Carmine attraverso la storia della carcioffola cerca di dirle di non abusare, di indicarle che la via di mezzo è sempre più apprezzata. Silvana non vuole stare da sola, non le basta la compagnia del figlio…quindi sta per fare il passo più importante: dichiararsi a colui che ama. Intanto fa delle personalissime osservazioni sull’amore.

III fase – Il risultato dell’incontro è una lunga maledizione…una bestemmia tanto esasperata….che diventa difficile non ridere. Carmine le spiega che l’amore vero non è inutile…. l’amore vero non è utile neanche contro la solitudine. L’amore non serve a niente…perciò rende liberi. L’amore/grazia però. Non l’amore che cerca la sistemazione o il proprio benessere.

SABATO 4 FEBBRAIO

Massimo Masiello

GLI AMICI SE NE VANNO

Le note ineguali di Umberto Bindi

di Gianmarco Cesario ed Antonio Mocciola

Elaborazioni musicali Letti Sfatti

Scene Francesco Esposito

Disegno luci Megaride

Foto di scena: Fiorella Passiante

Regia Massimo Masiello

Capostipite della canzone d’autore, appartenente alla cosiddetta “scuola genovese”, Umberto Bindi all’alba dei “favolosi” anni ’60 aveva già firmato numerosi successi (“Il nostro concerto”, “Arrivederci”), ma, pur essendo solo all’inizio di una sfolgorante e promettente carriera, ecco che improvvisamente qualcosa si inceppa nei meccanismi dello star system nostrano; la televisione gli sbarra le porte, la sua persona non è più gradita, colpevole la sua omosessualità mai rinnegata, la sua vita privata troppo fuori dagli schemi per un’Italia governata dalla chiesa, in cui il delitto d’onore era ancora quello che Germi definì “Divorzio all’italiana”. Purtroppo l’ostracismo durò fino alla sua morte, nei primi anni del XXI secolo, e la sua carriera non si riprese più. Attraverso le sue canzoni e la sua storia, vogliamo raccontare quest’episodio vergognoso di omofobia e razzismo, sperando che la vicenda umana ed artistica di Umberto resti solo un tragico esempio di un’Italia che non c’è più.

Gianmarco Cesario & Antonio Mocciola

Da piccolo certe melodie mi emozionavano più delle altre, ma l’ingenuità e la sufficienza dell’età, non ti permettono di andare oltre la conoscenza sommaria del cantante. Col tempo cresceva la curiosità, la voglia di conoscere, di sapere; le onde della musica, di certa musica, mi prendevano sempre di più.

Chi era quell’autore capace di suscitare quei sentimenti? Cosa provava mentre si abbandonava alle sue note? Ho cominciato così ad informarmi sulla vita di ognuno di loro, i loro trascorsi; così quando Gianmarco Cesario ed Antonio Mocciola, mi hanno sottoposto questo progetto, ho subito accettato con entusiasmo. La sensibilità di Umberto Bindi è, per alcuni versi, molto vicina alla mia. Ho voluto così, ricreare le atmosfere a me più vicine, quelle dei ricordi, quelle del bianco e nero, quelle della grande musica. Un omaggio ad Umberto Bindi.

Massimo Masiello

SABATO 20 FEBBRAIO

PACCHIELLO

VENDITORE AMBULANTE DI TARALLI CALDI CALDI E DI GUAI NERI NERI

di Pasquale Ferro

diretto ed interpretato da Roberto Capasso

Lo spettacolo è un monologo che parte dalla favola per arrivare alla cruda realtà di una storia di usura e di ordinaria, ma non troppo, violenza, una violenza fisica ma anche psicologica, che il protagonista, Pacchiello, vive e rivive attraverso il ricordo di una vita distrutta e distruttiva, tra i suoni neomelodici evocativi di una Napoli contemporanea che porta sulle spalle una tradizione pesante da sostenere, come quella della festa dei Gigli che fa da sfondo alle vicende raccontate.

Pacchiello è un untore, e l’usura è un sistema, un mezzo necessario per “contagiare” le vittime debitrici. Un desiderio assoluto di condivisione della lordura della propria esistenza. Un uomo dimenticato dalla coscienza, ossessionato dal potere, vive i ricordi che gli passano accanto veloci come un treno, fino ad investirlo.

Un Riccardo III “neomelodico” trasportato in una Napoli ubriaca e senza pudore.

SABATO 5 MARZO

Nunzia Schiano

FEMMENE

testi di Myriam Lattanzio e di Anna Mazza

con

Myriam Lattanzio

e con Francesco Ponzo alla chitarra e Roberto Giangrande al contrabbasso

regia Niko Mucci

Con Femmene entriamo in una galleria umana, una serie di ritratti femminili, di voci di donne. In questa galleria ognuna di esse rappresenta una tessera di quel mosaico complesso ed affascinante che è l’animo umano femminile. Donne rappresentate nella loro forza e nella loro fragilità insieme. Tableau vivant dove troveranno spazio una mater dolorosa che darà vita ad una nuova Pietà, una ragazza che vive, aldilà della sua condizione femminile, la sensazione di guardare il mondo reale attraverso il finestrino di una metropolitana che, nonostante la fermata, non le consentirà mai di “scendere” nel mondo reale che forse, tanto reale non è. Donne violentate nel corpo e nell’anima. E una madre, nume tutelare del focolare domestico che alle prese con i “friarielli” , sorta di totem familiare e allo stesso tempo “tela di Penelope” che non avrà mai fine, affronta i turbamenti dell’equilibrio familiare che le provengono dall’interno e verso i quali sentirà di non avere nessuna difesa, pensando di non essere preparata ad affrontarli, sottovalutandosi. Una pennellata per ricordare e ricordarci che se il cielo è azzurro, è nei suoi momenti più belli che si tinge di rosa. Infine, l’omaggio che la Lattanzio fa alle più grandi interpreti e autrici latino – americane (Chavela Vargas, Mercedes Sosa, Violeta Parra, Consuelo Velasquèz) completa questo spettacolo tutto al femminile.

SABATO 19 MARZO

Antonella Morea

DONNE IN…CANTO

al piano Vittorio Cataldi

Un percorso tutto al femminile recitato e cantato da Antonella Morea . Gli autori importanti che hanno scritto sulle donne ma non solo quelle che hanno fatto storia nel teatro e nella musica ma anche le eroine minori e quindi Rosalia Solimene piuttosto che Filumena , donne delle fiabe popolari, donne che vantano il loro essere in “carne” , donne di sceneggiata, donne “capere” , donne di malavita ma non di “camorra” …. E gli autori? Eduardo, Viviani, Roberto de Simone, Giuseppe Patroni Griffi, Pino Daniele, Totò’, Gragnaniello, Pazzaglia, Santanelli……tutti quelli che la Morea ha interpretato nei suoi 40 anni di teatro ..

SABATO 2 APRILE

Ernesto Lama Rosaria De Cicco

UNA COPPIA DA DEFINIRE

di Ernesto Lama e Rosaria De Cicco

regia Ernesto Lama e Rosaria De Cicco

Ernesto Lama e Rosaria De Cicco, attori poliedrici capaci di passare dalla prosa alla poesia, sono i protagonisti dello spettacolo “Attori o personaggi?”. I due attori spaziano fra diversi stili dirigendosi verso una comicità intelligente e attuale. Entrambi provenienti da quella felice e fortunata officina artistica che fu “Telegaribaldi”, sono oggi autori di un testo che gira sui paradossi intorno al rapporto fra attore e personaggio.

SABATO 9 APRILE

UNA LAMPA

Un’invettiva scritta diretta ed interpretata da Roberto Azzurro

Tutto ciò che in qualsiasi altra città del mondo è ordinario a Napoli è straordinario.

E naturalmente viceversa.

Per molto tempo ho inseguito l’idea che soltanto uno scandalo può far sì che qualcuno si accorga di noi – sempreché abbiamo qualcosa di interessante e di irrinunciabile da mostrare –, si accorga di noi in termini eclatanti e profondi: bisogna fare uno scandalo, di qualsiasi tipo, ma uno scandalo. Poi, una bella mattina mi sono detto: lo scandalo non devo inventarlo, lo scandalo esiste già: e si chiama Napoli.

Anche la miccia, utile e perfetta a innescare il turbine, era pronta già, ed è ciò che mi capita continuamente durante il giorno, mentre sono in auto nel traffico, o dal giornalaio, o in fila alla posta, o al tabacchi per comprare un biglietto per l’autobus. Per meglio dire, dalla reazione che io ho in seguito a quello che mi capita. Ecco, il verbo che indica questo mio comportamento/atteggiamento è questo: inveire; la cui definizione è: lanciarsi, avventarsi con furore verbale contro qualcuno o qualcosa, investendolo con invettive, con rabbiose accuse giustificate o meno, parole di fuoco, oppure aggredendolo con vituperi, con parole violente e offese terribili.

Questa invettiva è divisa in sette canti. Sette urli, sette dolori, sette anche comici sberleffi. Insomma sette momenti di rabbiosa riflessione anche, punteggiati da musicalità note, da memorie imprescindibili di una napoletanità onorata ma ormai vecchia e stantia, che si crogiola e annega in una oleografia ormai soltanto nociva e deleteria. Centrale, poi, è il terzo canto, in cui convergono tutte le parole e i versi dei grandi scrittori che hanno fatto viaggiare Napoli nel mondo attraverso le loro opere di volta in volta teatrali, letterarie, poetiche e meravigliosamente musicali. Per finire nell’incendio/incubo/sogno, nell’auspicato martirio di liberazione, tra le lacrime e il comico sberleffo che ritorna imprescindibile.

Questa volta UNALAMPA avrà due voci, due urli che si intersecheranno, sovrapporranno, incroceranno, in un unico tornado verbale, in una giostra impazzita e trascinante, in un delirio lucido e furente.

Ci sono illustri predecessori che hanno al loro attivo prestigiose invettive, ci perdonino se ci infiliamo in punta di piedi – ma mica tanto – in un elenco di grande rilevanza, ma è irrinunciabile: è frutto di un giuramento, fatto una volta mentre ero imbottigliato nel traffico, a un incrocio, dove sono rimasto per circa un’ora e mezza – e non a Zurigo, chiaramente, ma a Napoli.

Certo, pensai una volta liberatomi da quell’imbuto ferroso dell’ingorgo automobilistico – imbuto vivacizzato da un’umanità bestemmiante e anch’essa inveente e in più brutta e grassa, (mi chiedo dove siano i bei napoletani e le belle napoletane di una volta) – certo, pensai, è una fortuna che sia da considerarsi obsoleto o improprio l’uso che estende il verbo inveire ad azioni di una violenza che travalica le parole per sfociare in animosità fisica, altrimenti è certo che quando pronuncerò l’ultima terribile battuta della mia invettiva – da napoletano – contro Napoli e i Napoletani, e che titolerò “Unalampa”, è certo che la suddetta UNALAMPA rischierà di finire in rissa. O in festa, chissà. Noi napoletani siamo sempre così imprevedibili.

Roberto Azzurro

SABATO 30 APRILE

Teatro dell’Osso

MACBETH

di William Shakespeare

adattamento e regia di Mirko Di Martino

Il potere e la colpa, il destino e il libero arbitrio, il governo e la tirannia: “Macbeth” è una tragedia che vive di contrasti irriducibili dalla prima all’ultima scena, dal primo all’ultimo personaggio. Ad ogni passo che compiono, i protagonisti di questa famosissima opera sono obbligati a compiere scelte inconciliabili che avranno conseguenze gravissime sulla loro vita e su quella degli altri. Eppure, nessuno di loro appare davvero consapevole di ciò che accade, né di ciò che desidera davvero. Macbeth sceglie di uccidere il suo re per succedergli sul trono, ma avrebbe davvero commesso il brutale omicidio se non fosse stato spinto da sua moglie? Lady Macbeth convince il marito ad agire, ma lo avrebbe fatto se le tre streghe non avessero profetizzato che Macbeth sarebbe diventato re? E Banquo, Macduff, e gli altri personaggi che circondano la coppia omicida, quanto sono consapevoli dei motivi per cui ostacolano o favoriscono i progetti di Macbeth? In questa straordinaria tragedia, Shakespeare ha rappresentato una folla di personaggi imprigionati dalle loro stesse azioni, vittime di un destino che sono stati essi stessi a creare. Ognuno di loro appare, a suo modo, colpevole e incolpevole: ogni azione è inevitabilmente macchiata dal sangue, ma ogni volta appare come l’unica possibile. I colori del bene e male si confondono nel buio che avvolge tutto. Lo sfondo storico della vicenda ha infatti un valore molto più simbolico che realistico. La Scozia medievale, con l’oscurità dei suoi palazzi, con la nebbia delle sue brughiere, con la superstizione e le apparizioni sovrannaturali, allude chiaramente al caos dell’anarchia politica, ma è tanto più inquietante in quanto simbolo di una condizione esistenziale in cui ogni uomo rischia di sprofondare, inseguito dai fantasmi della sua coscienza.