Di: Alessandra Staiano

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La Compagnia della Contessa, pallida copia del glorioso gruppo teatrale che fu, arriva alla Villa della Scalogna dove il Mago Cotrone vive con le sue magie e personaggi, ognuno fuggito chissà perchè dalla civiltà. Entrambi gli universi si sono allontanati dalla civiltà, chi per scelta consapevole, chi invece perché altra scelta non aveva. Il loro incontro è la traccia che regge “I giganti della montagna” opera incompiuta di LuigiPirandello, in scena al Teatro Bellini di Napoli fino a domenica 20 febbraio 2011 per la regia di Enzo Vetrano e Stefano Randisi. Il testo è intensamente pirandelliano e per questo senz’altro complicato. C’è il teatro che parla del teatro, come in “Sei personaggi di autore”, ma anche e soprattutto una riflessione profonda sull’identità che se in “Uno, nessuno e centomila” è affidata alla diversità degli sguardi tra il sé e gli altri, qui viene interpretata nella dialettica sogno e realtà. Il lavoro teatrale si muove, infatti, sul piano onirico e quello reale, grazie anche alle sapienti scelte della scenografia scarna ed essenziale, lasciando sempre nello spettatore il dubbio che a parlare sia l’uno o l’altro protagonista, se non piuttosto la sua proiezione fantastica. Il doppio, giocato sul piano di trasfigurazioni e apparizioni, pervade tutto lo spettacolo.

La Contessa Ilse, nobile figura decaduta, porta in sé il dramma del suicidio del poeta di lei innamorato che per lei compose l’opera “La favola del figlio cambiato”, che la compagnia ha portato in giro per teatri e paesi senza che il pubblico ne riuscisse a cogliere la poesia. Il Mago Cotrone, che vive nella splendida interpretazione di Enzo Vetrano, propone ai teatranti di continuare la rappresentazione solo alla Villa, sottraendo la poesia all’impatto con la realtà. Ma Ilse non riesce ad accettare di chiudere sé e l’opera in quattro mura, anche se questo può costarle la vita. In questa sfida tra il teatro che incontra la realtà e l’aspirazione a conservare la purezza dell’opera si muovono i personaggi delineati da Pirandello. Che a volte usano una lingua intrisa di sicilianità come nel monologo della Sgricia, la “scalognata” che crede di essere morta e narra del suo incontro con l’angelo Centuno. Avvenuto nel sogno o nella realtà difficile da dirsi.

La messa in scena di Vetrano e Randisi rende pienamente la complessità di quest’opera di Pirandello, che non riuscì a terminarla e affidò al figlio il racconto di un sogno prima di morire: quel grande olivo saraceno che l’autore siciliano volle ala fine del terzo atto per risolvere tutto.

Link: il sito del Teatro Bellini di Napoli – www.teatrobellini.it