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Il regista israeliano AMOS GITAI

apre l’edizione 2025 della rassegna

POMPEII THEATRUM MUNDI

con la prima italiana del suo spettacolo GOLEM.

Pompei, Teatro Grande del Parco Archeologico

venerdì 20 e sabato 21 giugno ore 21.00

durata 2h e 15’

E’ affidata al regista israeliano Amos Gitai e al suo recente spettacolo GOLEM, venerdì 20 e sabato 21 giugno alle 21.00, l’apertura internazionale della ottava edizione della rassegna estiva del Teatro di NapoliTeatro Nazionale diretto da Roberto Andò, POMPEII THEATRUM MUNDI.

Lo spettacolo è presentato in collaborazione con Fondazione Campania dei FestivalCampania Teatro Festival 2025.

Le due rappresentazioni di Golem al sito di Pompei, segnano il ritorno a Napoli di un regista spesso censurato in Israele per le sue opere e opinioni “critiche” circa il conflitto israelo-palestinese, e che a Napoli girò nel 1993 il documentario NEL NOME DEL DUCE, sulla campagna elettorale di Alessandra Mussolini candidata per il MSI a Sindaco della città (elezioni vinte al ballottaggio da Antonio Bassolino), e nel 2016 firmò la regia dell’Otello di G. Rossini per l’inaugurazione della Stagione del lirico partenopeo.

Golem

Quali sono le nostre armi per sopravvivere alla ferocia delle guerre?

Come resistere e reinventarsi? Amos Gitaï torna con un nuovo spettacolo sul Golem: figura leggendaria proveniente da testi cabalistici, il Golem è una creatura di argilla creata per proteggere la comunità ebraica in risposta alle persecuzioni. È una sorta di magia, una specie di composizione, una combinazione matematica, per creare un essere artificiale capace di combattere la natura, i nemici, l’odio, la miseria.

Con questa creazione teatrale, ispirata a un racconto per bambini di Isaac Bashevis Singer, a testi di Joseph Roth, Léon Poliakov e Lamed Shapiro, e alle biografie di attori, Gitaï sovrappone questo mito alle questioni contemporanee sul rapporto tra creazione e distruzione, tra progresso e disastro, creando una parabola sul destino delle minoranze.

«Isaac Bashevis Singer – scrive nelle note il regista – dedica questa storia ai perseguitati, agli oppressi in tutto il mondo, giovani e vecchi, ebrei e gentili, nella folle speranza che il tempo delle accuse ingiuste e dei decreti iniqui giunga un giorno alla fine. Sceglie come lingua lo yiddish perché è una lingua in esilio, senza paese, senza confini, una lingua non sostenuta da alcun governo; una lingua che non possiede quasi parole relative ad armi, munizioni, esercizio o pratica militare; una lingua che era disprezzata, sia dai non ebrei che dalla maggioranza degli ebrei emancipati. Per natura, lo yiddish non domina, non dà la vittoria per scontata. Non esige, non comanda, scivola, si insinua clandestinamente tra i poteri di distruzione. È una lingua di un’umanità piena di timore e speranza. In senso figurato, lo yiddish è la lingua saggia e umile di tutti, la lingua di tutta l’umanità nella paura e nella speranza. Era la lingua dei sognatori e dei cabalisti. Il ghetto non era solo un rifugio per una minoranza perseguitata, era anche il luogo in cui si faceva la grande esperienza dell’autodisciplina e dell’umanesimo, nonostante tutta la brutalità che lo circondava. C’è ancora una ragione per non dimenticare lo yiddish, ed è questa: certo, lo yiddish è una lingua morente, ma è l’unica lingua che parlo bene. Lo yiddish è la lingua di mia madre, e una madre non muore mai veramente».

Sul palcoscenico si dispiega un vero e proprio mosaico sensoriale di storie e testimonianze, portato da una compagnia cosmopolita di attori e musicisti con lingue, origini e tradizioni plurime.

Lo spettacolo è in lingua tedesca, inglese, araba, spagnola, francese, ebraica, russa, yiddish,sottotitolato in italiano

Info: www.teatrodinapoli.it