Di: Sergio Palumbo

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Strano tipo l’ispettore Luce Scholmo, che vive in una sordida via di Parigi dove c’è una prevalenza di immigrati, soprattutto cinesi. Nel suo stesso palazzo ci sono un ristorante e una sartoria cinesi, mentre viceversa il portiere è un astioso razzista, che disprezza il poliziotto perché gli pare troppo propenso al dialogo. Uomo scontroso e solitario, Scholmo è capace di grande tenerezza nell’accogliere paternamente un orfanello cinese e una giovanissima prostituta. Malinconico e fatalista, sa amare con passione. Alieno dalla violenza, saprà ferocemente uccidere l’omicida della donna amata. Disprezzato e perfino sospettato dai colleghi, anche per avere la madre in un manicomio, finirà con l’essere acclamato come eroe per avere smascherato da solo un serial killer psicopatico e sventato un attentato che avrebbe fatto esplodere interi quartieri della città. Ma ancor più del protagonisca, così ricco di fascino nei suoi suggestivi chiaroscuri, è l’ambiente in cui si muove che costituisce, a mio avviso, il miglior interesse del romanzo. E’ una Parigi fredda e brumosa, ma non la città dai romantici autunni così cara ai poeti. E’ una Parigi dagli inverni fangosi, dalle viuzze maleodoranti dove si muovono prostitute e travestiti, piccoli boss malavitosi e poliziotti corrotti, con le insegne fumose dei locali malfamati gestiti per lo più da immigrati. La presenza di questi ultimi – turchi, vietnamiti, magrebini, cinesi – è il fattore scatenante della più varia e feroce delinquenza. C’è la lotta tra bande di diversa etnia e c’è soprattutto il contrasto tra stranieri e gente del posto, la cosideddetta “brava gente” che spesso ipocritamente maschera di perbenismo perbenista sordido interessi personali fuori della legalità. Non è chi non veda la scottante attualità di questo tema che diventa dominante nel racconto e ne costituisce il prevalente interesse.

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