Di: Sergio Palumbo

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L’autore ritrae, in punta di penna, una colorita galleria di personaggi che hanno in comune l’incapacità di comunicare, quindi la tragica condizione dell’individuo che resta solo con le sue frustrazioni.

Ci sono maestre che, con tutta la buona volontà di dedicarsi ai giovanissimi allievi, non sono capaci di comprendere le loro aspettative e non sanno farsi amare. C’è il rigido sergente che, per competenza e dedizione alle sue funzioni si impone al rispetto dei suoi soldati ma non sa e non vuole abbattere il muro di diffidenza che gli aliena la loro simpatia. C’è la giovane moglie che, con il marito malato cronico da troppo tempo, pur amandolo ancora, non trova più alcun argomento di dialogo e non sa sacrificargli, per dovere di fedeltà, un’insopprimibile voglia di vita e di allegria. E’ questa forse la più dolorosa delle solitudini: quella dei malati incurabili, isolati dal mondo e con la sola prospettiva della definitiva solitudine della morte.

Ci sono gli amici di vecchia data che scoprono per caso, l’uno nelle piccole miserie dell’altro, l’insicurezza di fronte alla vita che rende crudeli senza motivo e impedisce ogni fiducioso abbandono.

Le figure di Yates si incidono nella memoria, pur nella brevità dei racconti che le ritraggono, con tale precisione e vivezza di particolari che ti sembra di averli incontrati da qualche parte, qualche giorno. Ritratto di un’epoca e di una società – quella americana degli anni ’60 – o ritratto dell’uomo e della società d’ogni tempo? Una lettura suggestiva, intrigante, che alla fine ci dà la sensazione di aver ampliato la nostra consapevolezza della realtà umana.

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