Di: Sergio Palumbo

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L’opera di Michael Cox si legge d’un fiato come un moderno ed appassionante thriller, benché sia un romanzo assai più ricco e complesso, riprendendo in certo modo la tradizione dei grandi romanzi ottocenteschi, di cui ripete canoni contenutivi e stilistici. “Il significato della notte” è una storia di passioni estreme che sfociano nel delitto, per una concatenazione di situazioni che incastra fra loro le sorti di due uomini, opposti eppure complementari come il bene e il male, con paurosa inevitabilità. Sulle loro vicende infatti si allunga l’ombra cupa del Fato, il sinistro Fabbro Ferraio che ossessiona il protagonista e richiama alla mente l’iscrizione che, sulle pareti di una cella monacale, suggella la fosca vicenda uscita dalla penna di Victor Hugo in “Notre Dame de Paris”.

Questa materia magmatica è contenuta da una composta superficie di decorosa eleganza formale, come appunto nei romanzi ottocenteschi, anche quando descrive situazioni violente o decisamente scabrose. Ma ciò che più affascina il lettore è la suggestiva ambientazione della vicenda nell’Inghilterra vittoriana, con le sue magnifiche tenute nobiliari nelle verde campagne ma soprattutto con le nebbie e i misteri di Londra, coi suoi palazzi e i suoi vicoli malfamati, dove circola la ricchezza più sontuosa e la miseria più sordida: la Londra di Dickens o dei gialli di Edgar Wallace.

L’età vittoriana, conosciuta in profondità dall’autore, è altresì richiamata nella sua ricca e composita cultura, nella messe dei testi letterari, religiosi o filosofici, citati dall’autore, dai più noti ai più peregrini, senza che questo distragga o annoi il lettore, come una digressione erudita che appesantisce inutilmente il contesto. Il lettore, al contrario, è avvinto dalla suggestione di quegli ambienti di vetuste biblioteche situate negli antichi palazzi, ricchi di affreschi preziosi, coi loro parchi di alberi secolari, dove abita ancora, tra i fantasmi delle età trascorse, il fascino del passato.

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