Di: Ida Marfella e Sergio Palumbo

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“La badante”, spettacolo teatrale scritto e diretto da Cesare Lievi, è la storia di una famiglia borghese dei nostri tempi, la cui protagonista è un’anziana vedova che si trova a dover affrontare la solitudine in cui si trova al termine della sua esistenza. Due figli maschi, a cui non è particolarmente legata, ma che la donna conosce profondamente: uno imprenditore di successo, ma succube della moglie, l’altro “vagabondo dalle mani traforate”. E proprio i figli affidano la madre ad una badante ucraina che inizialmente l’anziana non accetta e che accusa di essere disonesta, spiona e ladra. Ma sarà proprio l’ingenua donna dell’est, con la sua vitalità, ma anche il suo disinteresse, a fare in modo che la protagonista ripercorra il ricordo traumatico della sua esistenza trascorsa sul lago di Garda, vicino Salò, in quella che lei definisce “città dei morti”. Nelle sue parole quel luogo diventa un mondo oscuro di cui è prigioniera da sempre. I ricordi riaffiorano nella sua mente come un fiume in piena, mentre la badante si occupa delle faccende domestiche, con toccante realismo che, a tratti, assume le forme di un inquietante simbolismo. L’infanzia, l’odio verso suo padre fascista che avrebbe voluto un maschio al suo posto, l’atmosfera novembrina perpetuamente tra pioggia e nebbia che sembra non lasciare spazio al naturale susseguirsi nelle stagioni. La presenza della badante è fondamentale perché l’anziana donna affronti il suo passato, prima di morire. E proprio nel momento della morte esplode la forza di carattere che contraddistingue il personaggio, magistralmente interpretato da Ludovica Modugno, poiché a sorpresa lascerà tutti i suoi averi proprio alla donna straniera che le è stata vicina.

Con una trama di forte attualità, il testo di Lievi, mette in evidenza due motivi emblematici della società contemporanea, che qui si intrecciano indissolubilmente: il tema dell’immigrazione e del pregiudizio verso lo straniero e quello della solitudine, della vecchiaia che annebbia la mente e dell’assenza della famiglia che preferisce delegare le proprie responsabilità alla donna straniera. Il sapiente uso del flashback rende più intrigante l’intreccio, che si infittisce di mistero e di dubbio nel secondo atto, fino alla catarsi finale del terzo atto, nel quale viene mirabilmente a galla la lucidità della follia della protagonista.

Link: il sito del Teatro Bellini – www.teatrobellini.it