Di: Rosa Carandente

Tempo di lettura stimato: 2 minuti

Uno spettacolo dalla drammaturgia aperta e coinvolgente quello di Massimo Maraviglia, in scena all’Elicantropo, con i bravissimi attori Gianni Ascione, Patrizia Eger, Massimo Finelli ed Ettore Nigro. Specchio riflettente di ciò che ogni spettatore porta dentro di sé, ” Studio Perimetrale intorno all’incertezza”, si apre con una scenografia materica nella quale prende corpo l’ennesima catastrofe, non solo fisica, ma anche collettiva ed individuale, da cui riemergono due soli superstiti. Due solitudini che metaforicamente cercano di creare, ricreare, ordinare, mettendo su strutture (in lamiera) da disfare al momento opportuno, quando la certezza di turno diventa incertezza.

Rassicuranti quanto strampalate forme di verità, quelle metafisiche sotto le vesti di un arcangelo invadente e quelle terrene dalle sembianze di una “svenditrice” ambulante, irrompono sulla scena per offrire ciò che oramai i due superstiti non acclamano e non rifiutano.

Non è una semplice negazione di certezze convenzionali l’anima dello spettacolo, bensì, una ricerca inconsapevole di un germe di felicità che nasca su basi differenti.

Qui la paura non genera più nessuna convinzione e diventa un bene “che non si vende e per cui non si ha antidoto.” Le parole, che si pretende possano ancora significare perdono il loro valore legato al malinteso atavico che tiene insieme chi vuol dare certezze e chi, speranzoso, le cerca. Anche l’assioma identità, per eccellenza fondamento della natura umana, “non serve e perciò si procede”.

In un teatro dell’incertezza come questo, dove le aspettative non devono per forza essere soddisfatte, e dove ciascuno è chiamato a dare le sue risposte o meglio a generare altre domande, la chiusura dello spettacolo diventa carica di simbolismo. I personaggi nel finale danno forma ad una zattera, che viene popolata da una donna incinta, incontrastabile fonte di vita che verrà e di speranza, e da un uomo qualunque, disteso come se fosse in croce, il quale questa volta non dona certezze e si apre a tutta l’incertezza di una vita che non vuole più basarsi su “felicità da malinteso”.