Di: Alessandra Staiano

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Si provocano, si rintuzzano, si insultano. Si rinfacciano l’un l’altra quello che sarebbero potuti essere se non avessero avuto la sfortuna di incontrarsi, si colpiscono nei punti dove sanno che può far più male. Ma soprattutto sono fatti esattamente per non capirsi. Impossibilitati a comunicare, incapaci persino di provare caldo o freddo nello stesso momento. Lui e lei. Chiusi in una casa qualsiasi che potrebbe essere in qualsiasi città del mondo occidentale. Mentre nel mondo di fuori c’è una guerra qualsiasi. L’ennesima. E potrebbe essere una qualsiasi coppia quella costruita da Eugène Ionesco- considerato tra i fondatori del Teatro dell’Assurdo- in «Delirio a due», da cui è liberamente tratto «Il gioco di coppia» in scena al Théatre de Poche di Napoli fino al 6 gennaio 2013 per la regia di Sergio Di Paola.

Il gioco di coppia sembra stare proprio in quel provocarsi continuo, nato su questioni che più futili non si può. E se il testo è giocato tutto sul rimpallo di articolate argomentazioni messe in piedi su questioni assolutamente banali, che scatenano ilarità negli spettatori proprio per la loro futilità, la sfida tra i due protagonisti raggiunge vette altissime grazie alla magistrale interpretazione degli attori Peppe Miale e Lorena Leone. Che, sul piccolo palcoscenico del De Poche, davvero gareggiano a chi è più bravo. Straordinaria la mimica facciale di lei, a cui basta alzare un sopracciglio o strizzare un occhio per ribaltare il senso di una battuta e riavviare la sequenza narrativa. L’interpretazione dei due protagonisti è fatta di parole e gesti volutamente esagerati: sono simboli, più che personaggi.

In scena non c’è una coppia, ma la coppia-tipo emblema della difficoltà- per non dire impossibilità- a costruire un rapporto tra un uomo e una donna che non sia fatto di animosità.

Ma perché non liberarsi dall’incubo? Magari semplicemente aprendo la porta? Perché fuori c’è la guerra e, poi, ci sarà la pace che – se è possibile- mette ancora più paura ai protagonisti. Un mondo di fuori a cui non sa dare un senso, così come non lo si riesce a dare a quello che si trova dentro le quattro mura. E non c’entra il fatto che nel Novecento – secolo in cui il testo è nato- ci siano state due guerre mondiali e una serie infinità di atrocità che hanno sconvolto il senso del mondo. Non c’entra perché l’incapacità di dare senso alla vita, al rapporto con l’altro, al mondo, insomma, parla all’uomo di ogni epoca.

Felicemente osserva Sergio Di Paola nelle sue note di regia: «In questo testo, così come in altri, Ionesco più volte sottolinea la stupidità comica e avvilente degli esseri umani, vincolati alle annebbianti abitudini. I protagonisti sono talmente chiusi nei loro miseri egoismi, nella loro meschina autosufficienza, nel loro gretto conformismo da non riuscire a dare un senso a ciò che accade intorno a loro. I due conviventi, non curandosi della guerra scoppiata fuori dalle quattro mura domestiche, non smettono di chiedersi se la tartaruga e la lumaca siano o meno lo stesso animale. Allo stesso modo oggi, mentre imperversa il caos, molti si chiedono l’I-Phone e il Galaxy siano lo stesso cellulare». A seguire «Il gioco di coppia» in cui sono impegnati i due protagonisti si ride molto. In fondo di sè stessi.