Di: Alessandra Staiano

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Teatro gremito in ogni ordine di posto nella serata del 14 gennaio 2014 per la prima al Bellini di Napoli di “Zio Vanja”, il capolavoro di Anton Cechov portato in scena dal regista Marco Bellocchio. I nomi di due pezzi da novanta dello spettacolo italiano, quali Sergio Rubini e Michele Placido, protagonisti nelle vesti rispettivamente di Vanja e del cognato professor Serebrjakov, ha sicuramente fatto da richiamo per un pubblico così numeroso, che ha premiato la mìse en scene con applausi scroscianti al termine dello spettacolo. Di certo l’attesa non è stata affatto delusa. Anzi. La messa in scena di un grande classico del teatro russo, la cui prima assoluta è datata 1899 e nei quali Cechov dissemina a piene mani i prodromi di quello che sarà la drammaturgia del Novecento, è stata magistrale.
La monotonia dell’ambiente rurale della Russia viene sottolineata dalle scene essenziali di Giovanni Carluccio. E’ tutto sospeso in quella tenuta di campagna dove le care vecchie abitudini di un tempo come quella di pranzare negli orari dei “cristiani” – ricordate con nostalgia e quasi rammarico dalla balia (la brava Maria Lovetti) – sono state stravolte dalla presenza del professor Serebjakov e della moglie Helena, sposata in seconde nozze dopo la morte di Sonia, un tempo reale proprietaria della tenuta insieme al fratello. Quello zio Vanja, appunto, che dopo avere sacrificato la sua “meglio gioventù” a quel cognato famoso e cittadino, ora sente tutto il peso di un’esistenza sprecata in un sacrificio non riconosciuto. Da lì, il senso di frustrazione pesante, la rabbia amara e, forse, sempre da lì ha origine come in una sorta di rivalsa, l’amore impossibile nutrito per la bella Helena, una giovane sposata con quello che ora viene considerato un vecchio insopportabile. La trama è il racconto di vicende tutto sommato banali di un gruppetto di personaggi che non hanno davvero nulla di eccezionale: accanto a Vanja e al professore, si muovono la figlia di quest’ultimo Sonia, la maman, l’amico di famiglia, il dottore che dovrebbe curare i mali del vecchio professore. Scene da interno familiare dal sapore novecentesco, insomma. Bellocchio cura una regia essenziale che esalta il testo, sicuramente impegnativo, di Cechov. E ogni attore è calato perfettamente nelle vesti del personaggio. Spiccano senz’altro l’interpretazione di Sergio Rubini, che è uno zio Vanja corroso dall’invida e dalla frustrazione, eppure amabile per quel suo tratto di autoironia che lo rende così umano; così come spicca quella di Michele Placido, insopportabile e borioso professore che arriva a proporre la vendita della tenuta incurante delle conseguenze che tale decisione avrebbe sul destino di chi gli ha dedicato tutta la sua vita. Da lì il coup de thèatre con la vendetta – non riuscita – di Vanja che arriva a sparare al cognato, provocando la fuga del professore e di sua moglie da quel luogo che avevano così turbato semplicemente con la loro presenza. Incantevole l’interpretazione di Anna Della Rosa che è Sonia, figlia del professore e nipote di Vanja, e tocca livelli di intensissima profondità nel monologo finale, in cui viene ricordato come in fondo tutti siamo condannati a vivere.

Link: il sito del Teatro Bellini di Napoli – www.teatrobellini.it