Di: Sergio Palumbo

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Il terzo appuntamento della sesta edizione di “Teatro alla Deriva”, la rassegna teatrale in scena nel suggestivo scenario delle Stufe di Nerone di Bacoli, vede in scena, sulla zattera galleggiante sull’acqua del laghetto circolare del parco termale, Ernesto Lama ed Elisabetta D’Acunzo nello spettacolo di Annibale Ruccello “Le cinque rose di Jennifer”, per la regia di Peppe Miale.

Jennifer è un travestito non più giovane che vive in un monolocale di un quartiere ghetto del napoletano. Non esce di casa da tre mesi, da quando aspetta la telefonata di Franco, ingegnere di Genova, con cui spera di coronare il suo sogno d’amore. “A Franco dalla sua Jennifer, che l’aspetta fidente”, ripete ogni giorno la sua dedica di “Se perdo te” di Patty Pravo che affida quotidianamente a Radio Cuore Libero, mentre il telefono, per un disservizio alle linee della zona, continua a ricevere telefonate destinate ad altri travestiti del quartiere. In uno scenario di disperata solitudine, anche scambiare qualche chiacchiera con qualche sconosciuto che sbaglia numero o l’ascolto delle canzoni di Patty Pravo e Mina, che Jennifer canta a squarciagola quando vengono trasmesse alla radio, possono servire per lenire la sofferenza dell’attesa. Mentre nel frattempo un maniaco sparge il terrore nel quartiere, assassinando i travestiti, Jennifer riceve la visita di Anna, un altro travestito la cui unica compagnia è la gatta Rosinella e che chiede di poter aspettare una telefonata a lei diretta che crede possa arrivare, per il disservizio, a casa di Jennifer. Inizialmente diffidenti l’una dell’altra, Anna e Jennifer si troveranno a raccontarsi le proprie vite, ma questo non basterà a colmare le distanze e a sanare quella disperata solitudine che culminerà nel tragico finale.

Opera di debutto del mai abbastanza compianto autore stabiese, “Le cinque rose di Jennifer” anticipa molti temi ricorrenti della drammaturgia ruccelliana: l’omosessualità, la disperazione dell’attesa e l’atroce solitudine che portano alla follia, l’effimera compagnia del telefono o della radio, l’ingenua illusione di una speranza a cui aggrapparsi, il racconto crudo e disincantato delle vite ai margini della periferia napoletana degli anni Ottanta. Vite deportate, condannate all’infinita solitudine dell’emarginazione, che pur se si incontrano restano distanti anni luce, arcipelaghi di isole vicine ma lontanissime, dove chi prova a nuotare è condannato al naufragio in una inesorabile deriva. Perché non c’è serial killer più sanguinario della solitudine e, come recitano i versi conclusivi della poesia che un altro travestito ha scritto e che legge a Radio Cuore Libero, “Siamo soltanto degli esseri solitari / Cui qualcuno / Sarcasticamente / Dà il nome di persone”.

La regia di Peppe Miale, pur restando fedele al testo di Ruccello, sceglie di portare all’estremo il dualismo tra Jennifer e l’alter ego Anna, svuotando di ogni femminilità il personaggio di Jennifer e affidando a una donna la parte di Anna. In questo, non solo rende più palpabile la distanza tra i due personaggi, ma rende più contemporanea, senza tradirla, l’opera ruccelliana, rappresentata oggi in un’epoca in cui sono sempre più sfumati e liquidi i confini tra i sessi. La scelta registica è vincente, anche grazie a due eccezionali interpreti. Ernesto Lama è abilissimo nel rendere l’ingenuità e nel contempo la disillusione di Jennifer, il suo delirio e la sua disperazione. Irresistibile nei non pochi passi comici del testo, Lama raggiunge una straordinaria intensità drammatica nel finale, che è un vero pugno nello stomaco per il pubblico. Molto brava anche Elisabetta D’Acunzo, che ben rappresenta la disperazione e la follia di Anna dopo la morte della sua gatta.

La sesta edizione di “Teatro alla Deriva” terminerà il 16 luglio 2017 con “Semi”, di e con Michele Brasilio e Marina Cioppa. Link: www.tsdn.it/teatroalladeriva