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Da giovedì 24 gennaio 2019, Teatro La giostra di Napoli

AdEst – La trilogia della guerra di Massimiliano Rossi

Un’intensa maratona scenica trasformerà il palcoscenico sui Quartieri Spagnoli

in una vera e propria residenza artistica, proponendo tre spettacoli in successione

“Dal mio primo spettacolo a oggi sono trascorsi dieci anni, e con AdEst – La trilogia della guerra ho voluto semplicemente dare, attraverso un’intensa maratona scenica, un nome ed una geografia ad un percorso che diviene un unicum artistico”.

Da quest’assunto prende vita il progetto di Massimiliano Rossi che vedrà in scena tre spettacoli in successione al Teatro La giostra di Napoli, da giovedì 24 gennaio 2019 alle ore 20.30 (fino domenica 10 febbraio), trasformando il palcoscenico partenopeo in una vera e propria “residenza artistica”, capace di dare corpo e voce a tre momenti chiave del percorso artistico dell’attore e regista partenopeo.

La trilogia, articolata in tre distinti momenti teatrali, ha come sfondo psicologico e materico dei testi la guerra, i fanciulli e i cattivi maestri, i personaggi e l’Est come immaginario letterario, scenicamente esplorato.

A inaugurare la maratona scenica, da giovedì 24 a domenica 27 gennaio, sarà Nasza Klasa, di Tadeusz Slobodzianek, progetto e regia di Massimiliano Rossi, in collaborazione con David Power. Interpreti in scena saranno Adele Vitale, Angela Rosa D’Auria, Margherita Romeo, Antonio Clemente, Marco Aspride, Pietro Juliano, David Power, Giuseppe Fiscariello, Nello Provenzano, Giuseppe Villa.

E’ grazie a quest’opera che il talento dell’autore russo si sta diffondendo in Europa e nel mondo, e, per questo’llestimento, tradotto per la prima volta in Italia ad opera del Professor Alessandro Amenta.

Ambientato tra il 1925 e il 2002, la pièce racconta il tragico intrecciarsi delle vicende di dieci ragazzi, compagni di scuola, prima dello scoppio della seconda guerra mondiale: cinque ebrei e cinque polacchi. Mentre i ragazzi crescono, il loro paese è devastato dalle invasioni armate, prima sovietiche, poi naziste.

Con lo sviluppo del fervente nazionalismo crescono i conflitti. Gli amici si tradiscono l’un l’altro e la violenza prende il sopravvento, fino al momento in cui le persone ordinarie portano a termine un’azione straordinaria e mostruosa, la cui eco risuona ancora oggi. 

Treni strettamente sorvegliati da Bohumil Hrabal è il secondo appuntamento della trilogia, in scena da mercoledì 30 gennaio a domenica 3 febbraio, di cui Massimiliano Rossi firma progetto, adattamento e regia. Interpreti in scena saranno Giovanni Buselli, Angela Rosa D’Auria,Pietro Juliano, Giuseppe Villa, Giuseppe Fiscariello, Adele Vitale, Antonio Clemente, Beatrice Vento, Sara Lupoli, Marco Aspride, Valerio Lombardi.

Adattare per il teatro il romanzo di Bohumil Hrabal ha rappresentato una vera e propria sfida. La prosa dell’autore ceco, di straordinario impatto immaginifico e profondamente visiva, rende ardita la sua trasformazione in flusso d’immagini.

Ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale, Treni strettamente sorvegliati racconta la storia del timido Milosh, apprendista ferroviere in una sperduta stazioncina della Boemia e Moravia occupate dalle truppe del Reich, che persegue il chiaro obiettivo di diventare un uomo.

Questo significa, innanzitutto, smetterla con quel vergognoso affare che è l’eiaculatio praecox, e conquistare, per davvero, la giovane e bella capotreno Masha.

Come una sorta di Charlot boemo, diventa adulto tra i propri insuccessi amorosi e gli scintillanti successi del capo-manovra Hubicka (che finisce sotto inchiesta per aver timbrato le chiappe della collega telegrafista), tra il ricordo del nonno, che voleva fermare i tank con l’ipnosi, e quella bomba (quella “cosina”) che lui, Milosh, deve infilare nel treno dei nazisti.

A chiudere la trilogia della guerra, da mercoledì 6 a domenica 10 febbraio, sarà Giochi di famiglia di Biljana Serbljanovic, progetto e regia di Massimiliano Rossi, qui anche interprete in scena con Margherita Romeo, Pietro Tammaro, Chiara Orefice.

Il conflitto più efferato e feroce mai scoppiato in Europa, sin dai tempi della Seconda guerra mondiale, ha prodotto milioni di profughi e centinaia di migliaia di vittime, là dove ieri serbi, croati, bosniaci, albanesi-kosovari, la grande famiglia multietnica dell’ex Jugoslavia viveva in una relativa condizione di prosperità.

L’esperienza della generazione dei genitori, quella del tempo della resistenza al nazifascismo e della seconda guerra mondiale, non è stata trasmessa alla generazione figlia, responsabile di quest’ultima guerra dei Balcani.

Era questa la generazione destinata a non avere preoccupazioni e destino politico, storicamente deresponsabilizzata e nata da un grande sacrificio, che non avrebbe dovuto combattere, ma obbligata ad una felicità solo ideale come degli eterni minori beati e riconoscenti per non avere alcuna responsabilità e potere decisionale.

La volontà di presentare i tre lavori in maniera succedanea, è un modo per rendere visibile, a un pubblico, sempre più numeroso in questo spazio/teatro, tale linea di pensiero e di lavoro.

Il progetto della trilogia nasce dall’esigenza di offrire uno sguardo sulla drammaturgia contemporanea, quella dell’Est, che sembra ereditare i caratteri della “latinità”, a dispetto di quanto la nostra cultura stia perdendo, privilegiando una propensione anglosassone del pensiero, dei comportamenti, ma non del teatro.    

 “La connessione tematica e stilistica tra queste tre esperienze – sottolinea Massimiliano Rossi – unisce emotivamente tutte le donne e gli uomini con cui ho condiviso questi lavori, i quali hanno preso forma sempre, e solo, grazie all’abnegazione e al sacrificio, che comporta fare teatro nelle condizioni in cui si è costretti, oggi”.

AdEst – La trilogia della guerra progetto di Massimiliano Rossi

Napoli, Teatro La giostra – da giovedì 24 gennaio a domenica 10 febbraio 2019

Inizio delle rappresentazioni teatrali ore 20.30 (da mercoledì a sabato), ore 19.00 (domenica)

Info e prenotazioni ai numeri 3492187511, 3488100587 email lagiostrateatro@gmail.com

Da giovedì 24 domenica 27 gennaio 2019

Compagnia TaRatatà

presenta

Nasza Klasa

(la nostra classe)

una storia in XIV lezioni di Tadeusz Slobodzianek

di Tadeusz Slobodzianek, traduzione di Alessandro Amenta

progetto e regia di Massimiliano Rossi (in collaborazione con David Power)

con

Adele Vitale, Dorit

Angela Rosa D’Auria, Rachele/Marianna

Margherita Romeo, Zocha

Antonio Clemente, Giacobbe

Marco Aspride, Risiek

Pietro Juliano, Menachem

David Power, Zygmunt

Giuseppe Fiscariello, Heniek

Nello Provenzano, Vladek

Giuseppe Villa, Abramo

costumi Luca Sallustio,

scenografia Davide Carità (in collaborazione con Accademia belle Arti di Napoli),

ound design Malu Peeters, assistente costumista Claudia Citarella,

grafica/video Malive, foto Alessandro Palumbo

durata della rappresentazione

Nasza Klasa è l’opera attraverso cui il genio di Tadeusz Slobodzianek si sta diffondendo in Europa e nel mondo. Per la prima volta tradotto in Italia, dopo l’eccezionale successo di critica e di pubblico riscosso dalle edizioni rappresentate in Inghilterra, Spagna, Polonia, Canada, Stati Uniti, Ungheria, Brasile, Giappone, presentiamo la prima messa in scena dell’opera italiana.

Un progetto di produzione etica con il sostegno e il patrocinio di: Fondazione Valenzi, Istituto Polacco di Roma, L’Asilo, Accademia di Belle Arti Napoli, Comune di Napoli.

La verità storica

Un giorno d’estate del luglio del 1941 metà della popolazione di Jedwabne, un piccolo paese dell’Europa centrale, assassinò l’altra metà, circa 1600 Ebrei, tra uomini, donne e bambini.

Questo è l’evento centrale in Nasza Klasa che narra le vicende di un piccolo villaggio polacco, dove fino a qualche anno fa nella piazza principale c’era una lapide che ricordava Jedwabne come «luogo di martirio del popolo ebraico, dove la Gestapo e la gendarmeria di Hitler bruciarono vivi 1600 ebrei».

Una menzogna durata 60 anni scoperta grazie a Jan Gross, professore di storia alla New York University e veterano del 68 polacco, il quale ha rinvenuto in un archivio di Varsavia la testimonianza dimenticata di un sopravvissuto.

Il risultato è stato “Neighbours”, edito in Italia da Mondadori con il titolo “I carnefici della porta accanto”, un libro che ha incendiato l’opinione pubblica polacca e ha costretto l’allora presidente Kwasniewski a chiedere pubblicamente perdono, che ha estorto un mea culpa dal Capo della Chiesa e obbligato gli storici e la popolazione della Polonia a confrontarsi con una verità agghiacciante: quella di non essere stati solo vittime, ma veri e propri criminali di guerra.

Quel giorno, è provato, gli abitanti polacchi della cittadina si armarono di asce, coltelli, forconi e uccisero l’altra metà, ebrei con cui erano cresciuti e andati a scuola; i tedeschi, quei pochi presenti, si limitarono a scattare delle foto. Per più di mezzo secolo, tutti gli abitanti del paese, dal sindaco che coordinò l’eccidio al prete che la benedisse, hanno nascosto la verità.

Sinossi

Ambientato tra il 1925 e il 2002, la pièce racconta il tragico intrecciarsi delle vicende di dieci ragazzi compagni di scuola prima dello scoppio della seconda guerra mondiale: cinque ebrei e cinque polacchi. Mentre i ragazzi crescono il loro paese è devastato dalle invasioni armate, prima sovietiche, poi naziste.

Con lo sviluppo del fervente nazionalismo crescono i conflitti: gli amici si tradiscono l’un l’altro e la violenza prende il sopravvento fino a che queste persone, ordinarie, portano a termine un’azione straordinaria e mostruosa, la cui eco risuona ancora oggi. 

All’inizio dell’opera i dieci alunni dichiarano le loro ambizioni: uno di voler essere un pompiere, uno una star del cinema, uno un pilota, uno un dottore. Nella prima parte la solidarietà dell’infanzia lascia il posto alla tensione religiosa: mentre i cattolici pregano, gli ebrei sono invitati ad accomodarsi nelle ultime file della classe.

Nel 1939 l’occupazione sovietica aumentò le ostilità tra i collaboratori e la resistenza dei combattenti. Ma nel 1941, con l’arrivo dei nazisti, la comunità scopre il proprio profondo e radicato antisemitismo religioso e razziale che porta la stessa a stupri, pestaggi, torture e infine all’assembramento della popolazione ebraica in un fienile che venne cosparso di cherosene e dove tutti gli ebrei presenti furono arsi vivi.

Da mercoledì 30 gennaio domenica 3 febbraio 2019

Compagnia TaRatatà

presenta

Treni strettamente sorvegliati

da Bohumil Hrabal

progetto, adattamento e regia Massimiliano Rossi

con

Giovanni Buselli, Milosh Hrma

Angela Rosa D’Auria, I e II mamma, sig.ra Laskà

Pietro Juliano, capomanovra Hubicika

Giuseppe Villa, facchino Novak

Giuseppe Fiscariello, capostazione

Adele Vitale, Viktoria Freie, contessa Kinskà

Antonio Clemente, caposervizio Slushny

Beatrice Vento, Masha

Sara Lupoli, Zdna Svatà

Marco Aspride, macchinista Knigè

Valerio Lombardi, II SS

scene e luci Davide Carità, costumi Claudia Citarella,

sound design Davide Mastropaolo, movimenti di scena Sara Lupoli,

grafica Malive, foto Alessandro Palumbo,

trucco Rosa Falco, aiuto regia Vincenzo Capaldo,

assistenti alla regia Noemi Giulia Fabiano, Valerio Lombardi,

aiuto scenografo Giordana Innocenti

Durata della rappresentazione 85’ circa

Adattare per il teatro il romanzo di Bohumil Hrabal può rappresentare una vera e propria sfida. La prosa di Hrabal, di straordinario impatto immaginifico, proprio perché profondamente visiva rende ardita la sua eventuale trasformazione in flusso di immagini. Le opere di questo scrittore esprimono un’anima che tende al racconto teatrale e cinematografico.

La facilità di lettura cela, però, un complesso intreccio di combinazioni e derivazioni linguistiche, con disinvolti, ma sofisticati, registri lessicali e di pensiero. Farne uno spettacolo autentico comporta il rischio di scivolare in una banale ripetizione.

Rispetto al libro e al film, vorrei riuscire a non perdere, semmai amplificare, quell’erotismo giocoso e anarchico che contrassegna l’originale scritto. Eros e Thanatos, afferma Freud, sono in lotta continua, e l’evoluzione civile è un costante impegno volto a impedire alla seconda di mandare in rovina la società, che nasce dalla tendenza aggregativa della prima.

Imperniare tutto il racconto sul contrasto tra l’istinto alla vita, e l’istinto alla morte, sembra dare un senso psicologico alla follia distruttiva nei decenni dalla prima alla seconda guerra mondiale.

Tutti i personaggi del testo rappresentano queste pulsioni primarie: vita, morte, principio di realtà. E’ con l’interazione di queste due forze contrapposte, Eros e Thanatos, che si producono i cambiamenti nella vita umana, due principi dinamici della psiche umana.

Lo stratagemma elaborato dalla società consiste nel rispedire al mittente la sua aggressività, senza lasciargliela sfogare.

L’energia pulsionale aggressiva, rinchiusa tra le pareti della mente, si accanisce contro l’unico che non può sfuggirle, l’individuo a cui appartiene. Nasce così il senso di colpa.

Milosh, il protagonista, ha una connaturata tendenza alla morte e alla vita, così come la materia organica, perché nella sostanza vivente esiste una parte destinata alla morte e una parte immortale: il “plasma germinale” al servizio della perpetuazione della specie.

In modo non del tutto chiaro, il livello materiale e quello spirituale della vita sembrano corrispondersi.

Volevo ancora rivolgere lo sguardo alla guerra e alla narrativa dell’est, e volevo che gli occhi di questo sguardo fossero ancora quelli della giovinezza, così come nei miei precedenti spettacoli, “Giochi di famiglia” e “Nasza Klasa.

Volevo passeggiare ancora nel secolo scorso, quello dei miei nonni e di mio padre, che è stato maestro d’ironia, irriverenza e incanto, e a cui questo lavoro è dedicato.

Note di regia

Tutto si vede e si sente, le ombre sono quelle della Storia che è eco del destino da altri deciso. Pochi sbruffoni, ma quelli che restano sono maestri della lotta alla noia e al già vissuto.

Nella stazione i treni vanno e vengono nonostante tutto, neanche buttarcisi sotto (o dentro) cambia le cose, ma c’è o vi può essere il tempo di guardare il cielo con sirene che volano e uomini dipingere paesaggi piccoli piccoli e partire, intanto dietro le colline c’è il fragore delle bombe, in Europa ci si uccide.

Praga capoluogo magico, è popolata da siluette sonnambule che si aggirano nelle vie tenebrose che si assommano alle stregherie delle fabbriche e alle colate di acciaio, dove v’è solo lavoro coatto dei campi di internamento, dove alcuni non perdono la capacità di sognare, di illudersi nelle ore più nere e più desolate del nostro tempo, di questo secolo breve che è stato il Novecento.

Tutto il mondo Boemo formicola di piccoli Kafka che a dispetto delle regole livellatrici e nemiche della fantasia conservano ancora una “fenditura nel cervello, un grano di follia”.

Treni strettamente sorvegliati, è una commedia che termina con una tragedia, ma non è una commedia classica stravolta in ultimo dal dramma, nel libro di Hrabal, commedia e drammatico si mescolano continuamente come nella vita.

Le sue descrizioni anti-eroiche, ricche di elementi grotteschi, di vicende quotidiane minime, sempre ai limiti del paradosso, collocano Hrabal sul filo del surreale.

L’ambientazione popolare e popolaresca, la sua prosa burlesca aderisce al parlato popolaresco, in un flusso ininterrotto di invenzioni e di “chiacchiere”.

Hrabal applica, per decifrare la vita, l’ironia; che mette in luce le contraddizioni del consorzio civile. L’ironia è un vero sistema di pensiero, è: “La malinconia di una costruzione eterna, un gioco apparentemente infantile, folle e stupido, la vana lotta per l’uomo contro l’umanesimo formale e convenzionale, una battaglia contro una felicitante teoria dello stato e contro l’apparato burocratico”.

La sua scrittura annulla il tempo, costruendo un universo atemporale e infinito, e corre sul filo di un presente continuo; il concetto di tempo dipende dalle cose che accadono, è una coordinata meramente soggettiva, si mescola con lo spazio, diviene qualcosa che non c’entra più con la nostra semplice intuizione e tutto sommato diviene inutile. Dimenticando il tempo diventa tutto più semplice, è più facile capire come funziona il mondo.

Da mercoledì 6 a domenica 10 febbraio 2019

Compagnia TaRatatà

presenta

Giochi di famiglia

di Biljana Serbljanovic

progetto e regia di Massimiliano Rossi

con

Massimiliano Rossi, Vojin

Margherita Romeo, Milena

Pietro Tammaro, Andrija

Chiara Orefice, Nadežda

 “Sono quattro bambini, cittadini di uno Stato in rovina, in un campo da gioco, architettura degradata risalente ai tempi del realismo socialista, non sono poveri e in realtà sono già grandi; adulti che interpretano bambini che giocano a fare gli adulti”. Biljana Srbljanović

Le grandi speranze del 1989 non si sono realizzate, nel quadrante sud orientale del continente l’ex Jugoslavia è stata dilaniata da guerre, pulizie etniche, guerre civili, così concludendo tragicamente la Storia Europea del XX secolo.

Il conflitto più efferato e feroce mai scoppiato in Europa sin dai tempi della Seconda guerra mondiale, ha prodotto milioni di profughi e centinaia di migliaia di vittime, là dove ieri serbi, croati, bosniaci, albanesi-kossovari, la grande famiglia multietnica della ex Jugoslavia viveva in una relativa condizione di prosperità.

L’esperienza della generazione dei genitori, quella del tempo della resistenza al nazifascismo e della seconda guerra mondiale non è stata trasmessa alla generazione figlia, responsabile di questa ultima guerra dei Balcani.

Era questa la generazione destinata a non avere preoccupazioni e destino politico; una generazione storicamente deresponsabilizzata, nata da un grande sacrificio, che non avrebbe dovuto combattere, obbligata ad una felicità solo ideale come degli eterni minori beati e riconoscenti per non avere alcuna responsabilità né potere decisionale.

Un sistema sociale fondato sull’ignoranza della generazione figlia impiega poco a sciogliere la logica interna che tiene insieme una società.

La violenza entra in scena per difenderci quale elemento inevitabile, talvolta immaginario, ma sempre provocato dall’altro.