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8 Ottobre 2022

Inaugurazione Stagione 2022-2023

Teatro Bellini di Napoli

La cupa

Fabbula di un omo che divinne un albero

versi, canti, drammaturgia e regia Mimmo Borrelli

con Maurizio Azzurro, Dario Barbato, Mimmo Borrelli, Gaetano Colella, Veronica D’Elia, Rossella De Martino, Renato De Simone, Gennaro Di Colandrea, Paolo Fabozzo, Enzo Gaito, Geremia Longobardo, Stefano Miglio, Roberta Misticone

scene Luigi Ferrigno
costumi Enzo Pirozzi
disegno luci Cesare Accetta
musiche, ambientazioni sonore composte ed eseguite dal vivo da Antonio Della Ragione
foto di scena Marco Ghidelli

produzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini

Lo spettacolo ha debuttato al Teatro San Ferdinando di Napoli

il 10 aprile 2018, prodotto dal Teatro di Napoli-Teatro Nazionale

Orari spettacoli: feriali h. 20:45, sabato 8 ottobre e sabato 5 novembre h. 19:00, mercoledì 9 novembre h. 17:30, domenica h. 18:00

Info: La cupa, dall’8 al 23 ottobre e dal 2 al 13 novembre

Prezzi: a partire da € 15, ridotto € 18 – Under29 € 15

Durata: 180 minuti

Tutto viene evocato in una notte, nella notte di Sant’Antonio e il suo fucarazzo, quando secondo gli antichi, gli animali potevano parlare agli uomini, ma con un prezzo da pagare, chi li ascoltava aveva in dote sventura e dannazione. Ma Innocente Crescenzo e il suo maiale Ciaccone non possono che espiare, da sopravvissuti, ogni anno le sorti di una saga bastarda della degenerazione umana: favola di uomini che come gli animali agiscono, ma con lo sterco della ragione e gli animali che agli istinti sottopongo la ragione non possono che agire in modo perverso.

La trama è un fittizio e afflitto mondo altrove dove si scontrano i pianeti porosi di una saga dalle colpe sepolte tra anfratti, strati geologici, fatti aneddoti ed incavi, il cui confine della memoria è smunto e levigato, da anni, venti malsani ed epoche di misfatti e di peccati originali.

Trama incastonata nel cuore buono e generoso un tempo, del suo protagonista in negativo Giosafatte ’Nzamamorte: sempre attento al prossimo, ma comunque sia, morto dall’amarezza e la fuliggine in cristalli di tufo porosi di rettitudine. Un uomo buono, retto, sorretto dalla coscienza di un passato inquieto, indecifrato, burrascoso, folle dal quale ha preso distanza, con il rispetto verso la dimenticanza di una memoria sepolta. Memoria, la quale se scavata, come i blocchi che di giorno in giorno vengono estratti dalla sua cava restituendone, in calce morta, cadaveri, potrebbe esplodere e franare in modo dirompente.

La memoria è la famiglia perduta di Giosafatte ’Nzamamorte e la sua moglie Bianca.

Quella dei figli di Giosafatte violentati e uccisi, vent’anni prima a sua insaputa, dal suo più acerrimo amico, ignoto nemico Tommasino Scippasalute.

Quella di Scippasalute la sua pedofilia e l’odio riposto e celato nei confronti dell’eterno amico Giosafatte, amico dell’infamia e beone di sventura.

Lo scontro atavico e dalle difformi e dilavanti collere in frana, delle famiglie e degli antenati di Tommasino Scippasalutedefraudati e ridotti alla rovina dalla famiglia ’Nzamamorte.

Quella del suicidio di Maria delle Papere, figlia di Giosafatte.

Quella della follia di ’Nzamamorte, una volta perduti i figli e moglie suicida, per sua imperdonabile negligenza: dell’elaborazione di un traffico di organi di bambini, cresciuti ed allevati per divenire cavie e carcasse in carne di un lucroso e deplorevole orrore.

Quella delle povere donne dell’est contattate e fecondate a pagamento, per divenire involucri, incubatrici in orge “baccaiate” dal tufo, di organi da rivendere al mercato.

Scippasalute è un intagliatore abilissimo, un mastro sia scalpellino (masto attuzzature), che “per pensamento”, cioè sa individuare seguendo il suo infallibile fiuto dove intagliare i blocchi di tufo di una qualsiasi cava, in termini sia di sicurezza per i “cavatori”, evitandone smottamenti e frane, che di utilità geografica e logistica attraverso l’arte del “pezzamento”. Un tempo, suo nonno Sanzone, era il possessore di quella cava, ma andato in disgrazia, per la perdita di un braccio dovette rivenderla al padre di ’Nzamamorte, per i troppi debiti. Una vita spesa a pagare un debito senza riavere la terra a te tolta, la terra, la polvere alla quale tornerai e che nel suo sporco rende visibili gl’invisibili, quella terra vista e concepita come una moglie, na zita da sposare, intoccabile e sacra. Da allora tale sfregio d’onore è rimasto sopito in Scippasalute, seppur sottopelle. Vuole ripossedere tutto, ripossedere, sottrarre blocco per blocco ogni bene, per tramutarlo, ricostruirlo pietra per pietra, catozza per catozza, pretecagna per pretecagna, in orditi di male. Ripossedere la vita di stenti mancata e amputata dalle fatiche.

Nella cava si aggira, da alcuni tempi, una sorta di clochard, un barbone obeso dalla vita, sempre con i suoi giornali e quotidiani, finanche una radiolina che cerca di continuo di regolare al cielo, un uomo misterioso, ma bonario, dalla fisicità inquietante, ma lo sguardo innocente di bambino, dalla personalità a tratti lucidissima, dalla mole “orsuta” nella sua andatura dinoccolata e sorniona, a tratti, assolutamente intrattabile, causa la sua propensione al bere vino e vino scadente che nella cava, i dipendenti “cavatori” e “tagliamonti” gli forniscono di solito. Intelligentissimo e acculturato dice di essere fuggito da un seminario in cui da bambino era stato sottratto dalla strada avviato agli studi umanistici, da alcuni monaci illuminati, presso Foggia; detto il latinista, sempre prodigo di massime tra il cinico e la vitalità dell’amarezza, si auto presenta sempre allo stesso modo:

Innocente Zacchiele Crescenzo.

Uomo di pace e di buon senzo.

È molto amico di ’Nzamamorte, parla spesso con lui di teologia e filosofia di vita: accomunati entrambi da un passato inconoscibile, sembrano essere legati da un affetto burbero, ma quasi reciprocamente familiare; terribilmente scortese e snob con tutti gli altri cavatori della cava, con lui gli s’illuminano gli occhi. È anche e soprattutto legatissimo a Maria delle Papere, ha con lei un atteggiamento protettivo, quasi fraterno che malignamente, dalle voci traverse della cava viene spesso frainteso come un amore a dir poco fuligginoso e deviato, ma non è propriamente così.

Innocente Crescenzo è disperato, lui è il testimone di una tragedia sepolta nel tempo, lui un Edipo/Oreste tornato, non per uccidere il padre, ma per riconoscerlo e riconoscersi nel figlio scomparso, anche per morire per lui, anche per vendicarsi per lui e vendicarsi di un male vecchio di trent’anni. Ecco le radici dell’ultimo duello, in cui si evince un peccato originale che non potrà mai essere lavato, ma solo in parte vendicato. Innocente Crescenzo, altro non è che Giuseppe il più grande, di tre fratelli, il secondogenito Mimmo e la neonata da pochi mesi Maria, tutti figli di Giosafatte ’Nzamamorte. Siamo alla fine degli anni 50, Giosafatte aveva appena ventidue anni e si era da poco sposato con Bianca. I due coniugi con fatica e stenti, in pochi anni erano riusciti a edificare una casetta su un podere all’isola di Procida di fronte alla Cava che affaccia sul litorale di Torregaveta. Lì, in quell’angolo immutato e immacolato di paradiso, volevano trasferire le loro gioie, i loro tre angioletti, per tenerli lontani e immacolati da qualsiasi empietà e credenza localistica e provinciale, volevano crescerli nel benessere e a distanza dalle sofferenze della comunità. Ma quel giorno Giosafatte fece male i conti: lasciò Bianca e Maria a terra e partì prima con i due figliocci rispettivamente di cinque e otto anni poi tornò a Torregaveta, per recuperare il resto della famiglia. Solo otto anni aveva Crescenzo fu Giuseppe, solo otto anni, per combattere di già con i lupi, perché un maltempo imprevisto e incredibile costrinse Giosafatte a rimanere a terra al secondo viaggio. Ma ancora una volta quel diavolo di Scippasalute ubriaco e beone, manomise la barca dell’amico e s’insinuò nella casa, dove per tre giorni seviziò i due bambini, portandone uno alla morte per fame e stenti, l’altro invece, Crescenzo fu Giuseppe, al secondo giorno scomparve, rifugiandosi in una nave da carico adibita al trasporto del tufo diretta in Puglia.

Al ritrovamento del cadavere di Mimmo e la scomparsa di Giuseppe, Bianca impazzisce, prima accecando in modo irrecuperabile la figlia Maria, poi togliendosi la vita scaraventandosi dalla montagna di Miseno. ’Nzamamorte rimane unico custode di questo osceno misfatto. Lì rinnegando la sua paternità malsana, causa secondo lui di tutto ciò, decide di crescere la piccola Maria come una sorella. E inizia un’attività illecita circa il traffico di organi di bambini.

La polvere seduce e ricopre il monte, una cupa, una cava ricolma di morti che tornano.

Il destino vuole che Maria delle Papere di innamori del figlio di Scippasalute, da qui si avrà un nuovo inizio, quasi l’eterna saga del male contro il bene, che culminerà con una punizione della natura sull’uomo e le sue derive.

Crolla la cava, crolla il mondo, sotto le invidie di una società che non può più sostenersi sui pilastri dell’amore verso il prossimo, un amore sommerso dal dilavamento delle coscienze e dalla pioggia insistente della natura umana che tutto smuove male, neanche sottosopra come la natura farebbe nel rimettere le cose al suo posto.