Di: Maresa Galli

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Cassandra, sacerdotessa del tempio di Apollo, figlia di Ecuba e Priamo, re di Troia, profetessa di sventura, raccontata da Omero, da Eschilo, Euripide e Virgilio, diviene protagonista di un intenso monologo teatrale, che Carlo Cerciello ha tratto dalla illuminante eponima opera di Christa Wolf, curandone anche la regia.

“Cassandra” è una produzione Elicantropo ed Elledieffe, con il sostegno del Teatro Pubblico Campano, in scena nel Teatro di vico Gerolomini; le belle musiche sono di Paolo Coletta, le scene di Andrea Iacopino, l’aiuto regia di Aniello Mallardo. La sacerdotessa è incarnata da Cecilia Lupoli, versatile, bravissima attrice cresciuta nella preziosa scuola del Teatro Elicantropo. Avvolta nella semioscurità dove balenano lampi di luce, è prigioniera nel palazzo di Micene, trattenuta da lacci che costringono metaforicamente la sua lingua tagliente, che urla inascoltata la verità e il monito a non precipitare negli orrori della guerra. Lacci, che la incatenano al doloroso passato ed un altrettanto tragico futuro di sciagure. Nel varcare la soglia fatale, Cassandra ripercorre la sua storia, i suoi ricordi, il suo amore impossibile per il prode Enea, il rifiuto della passione di Apollo che si vendica condannandola a predire il vero senza essere mai creduta. In un’epoca in cui il potere maschile è dominante, interessata alla politica, potrà farsi strada solo divenendo sacerdotessa. Ricorda la guerra di Troia, l’inganno portato dai greci dentro le mura della sua città, il suo rifugiarsi disperata nel tempio di Atena dove fu violentata dal greco Aiace Oilèo. Allora vaticina la vendetta degli dèi contro Aiace per l’oltraggio ad Atena, i lutti a venire. Toccherà in sorte come bottino di guerra al trionfatore Agamennone, lei, la più bella delle figlie di Priamo. Perché possedere il dono della preveggenza e rimanere inascoltati? Una città, nel mito omerico, destinata a bruciare, la nostra cultura alienata, votata all’autodistruzione nella visione della celebre scrittrice tedesca. Il pubblico osserva immobile Cassandra, ascolta il suo grido contro la falsità del potere, la violenza sanguinaria, l’inganno, la barbarie della guerra, così come il mondo, cieco e colpevole, assiste allo scoppio di nuovi conflitti. Quanti cavalli di Troia, quanti inganni del potere distruggeranno intere città prima che l’uomo veda ciò che Cassandra vede? “Prima che moriamo può darsi che muoia il dolore. Se così fosse, questo sarebbe da raccontare, ma a chi? Qui nessuno, se non quelli che moriranno con me, parla la mia lingua”, dirà la profetessa che affronta il proprio destino con il coraggio di chi ha abbracciato la verità e sputato sulla menzogna. Per quanto ancora vogliamo assistere indifferenti alle miserie e alle tragedie del mondo?

Quante altre volte chi profetizza guerre e disastri sarà trattato da pazzo? Quante mistificazioni metterà ancora in scena il potere?

Ce lo ricorda Cerciello che, con la sua rilettura del mito di Cassandra e della guerra di Troia, archetipo di tutti i conflitti, ancora una volta ammonisce a non assistere passivamente al male.

Un lavoro che parla ad un’umanità che “resetta” troppo velocemente il monito della storia.