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Dopo le rappresentazioni di Clitennestra diretto da Roberto Andò

accolte con successo da circa tremila spettatori il 16 e 17 giugno scorsi

venerdì 23 e sabato 24 giugno al Teatro Grande del sito di Pompei

secondo appuntamento al festival POMPEII THEATRUM MUNDI 2023

con LINA SASTRI protagonista del capolavoro di Federico Garcia Lorca

NOZZE DI SANGUE

nell’adattamento e la regia del maestro spagnolo Lluís Pasqual

“La cronaca di un fatto di vita raccontato da un poeta.

Un urlo contro qualsiasi convenzione nel campo dell’amore e un grido di libertà

nel seguire la passione che brucia due cuori e due corpi in una stessa fiamma”

Dopo il debutto in prima assoluta di Clitennestra diretto da Roberto Andò con protagonista Isabella Ragonese, accolto con grande successo da circa tremila spettatori nelle due rappresentazioni del 16 e 17 giugno scorsi, lo straordinario  palcoscenico del Teatro Grande del Parco Archeologico di Pompei accoglierà venerdì 23 e sabato 24 giugno, alle ore 21.00, il secondo spettacolo della rassegna promossa dal Teatro di Napoli-Teatro Nazionale con il Parco Archeologico di Pompei.

Si tratta di Nozze di sangue di Federico Garcia Lorca – uno dei titoli più folgoranti della storia del teatro del Novecento europeo – messo in scena su adattamento e regia da Lluis Pasqual, il regista spagnolo considerato il massimo esperto dell’opera di Garcia Lorca.

La rilettura del capolavoro del poeta andaluso proposta dal 72enne regista catalano accentua l’aspetto poetico del dramma abbandonando ogni naturalismo, e concepisce una messa in scena che intreccia prosa, danza e canto affidandosi alle eclettiche doti di un’artista del calibro di Lina Sastri.

Nel doppio ruolo de “la madre” e “sposa”, Lina Sastri è accompagnata in scena da una straordinaria compagnia di interpreti: Roberta Amato (sposa di Leonardo), Giovanni Arezzo (sposo), Ludovico Caldarera (vecchio), Alessandra Costanzo (vecchia), Elvio La Pira (uomo), Gaia Lo Vecchio (donna), Giacinto Palmarini (Leonardo), Floriana Patti (donna), Alessandro Pizzuto (uomo), Sonny Rizzo (uomo),con i musicisti Riccardo Garcia Rubì (chitarra), Carmine Nobile (chitarra), Gabriele Gagliarini (percussioni).

Le scene sono di  Marta Crisolini Malatesta, i costumi di Franca Squarciapino,le coreografie di  Nuria Castejon, le luci di Pascal Merat. Una produzione Teatro Stabile di Catania, Teatro Stabile di Torino–Teatro Nazionale, Teatro di Napoli–Teatro Nazionale, Teatro Stabile di Palermo.

Note allo spettacolo

Il lavoro si presenta come uno spettacolo di flamenco con sedie in cerchio e tutti gli attori presenti per l’intera durata. Tre musicisti accompagneranno parole, canti e danze.

«Nozze di sangue, uno dei titoli più folgoranti della storia del teatro del Novecento europeo – scrive Lluis Pasqual – non è altro che una “cronaca di un fatto di vita” raccontato da un poeta. Così come sessanta anni dopo Koltès rimase colpito dalla fotografia di un delinquente in un manifesto attaccato dalla polizia su un muro della metropolitana di Parigi e da questo fascino ne uscì un capolavoro di grande poesia come Roberto Zucco, così successe con Lorca nel 1934».

«A pochi chilometri da Granada – prosegue il regista – in una campagna secca, durante una festa di matrimonio, la sposa era fuggita con un lontano parente. Lo sposo tradito li ha perseguitati con un gruppo dei suoi e ci sono state coltellate e morti. La notizia è apparsa sui giornali. Nella mente del poeta questa notizia ha fatto un viaggio profondo e scuro e il suo racconto dei “fatti” è diventato un urlo contro qualsiasi “convenzione” nel campo dell’amore e un grido di libertà nel seguire la passione che brucia due cuori e due corpi in una stessa fiamma. Nel viaggio del racconto ha creato due personaggi enormi, due vittime, due donne: la fidanzata e la madre. Quelle che restano e che dovranno trascinarsi a vita il dolore e le ferite che procedono dal così detto “cainismo” spagnolo: fratello contro fratello, divisi fino alla morte. La frase della madre “qui, adesso, ci sono due bande, tu con i tuoi, io con i miei” non faceva altro che annunciare la disumana guerra civile esplosa pochi anni dopo. Poi il poeta è morto, la guerra è passata, sono passati tanti anni e, in una piccola parte del mondo occidentale la donna ha acquisito un certo livello della libertà che Lorca esigeva urlando e commovendo dal palcoscenico. O almeno abbiamo leggi che proteggono questa libertà nei suoi diritti affettivi e sessuali. Poi la realtà è, tante volte, un’altra. La metafora sulla passione e sull’amore, che lui ha fatto diventare immortale in questo testo bruciante, è ancora vivissima e attuale in tante civiltà che non appartengono alla nostra cultura europea. Ma lo è, senza dubbio, ancora dentro le nostre frontiere piene d’intolleranza e di odio. E queste parole le scrivo mentre in Europa viviamo la più (forse) irrazionale guerra della storia dell’uomo. Quanti volti di spose, di madri, trascinati dal dolore abbiamo visto in televisione? Come quelli che ha sognato Lorca…Non è un caso che abbia scelto, come in tante delle sue opere, “la donna”, cioè la vittima, per fare vedere la violenza degli uomini. Ancora una volta il poeta guarderà dalla parte delle vittime, la sposa, la madre». «Credo – sottolinea Pasual – che il testo di Nozze di sangue rappresentato così come è scritto non sarebbe giusto per Garcia Lorca. Noi non siamo più gli spettatori degli anni trenta del Novecento. Bisogna andare alla radice del racconto e cercare il luogo profondo da dove emerge questo dolore. Per dirlo come lui “nell’oscura radice dell’urlo”. Ma bisogna farlo, secondo me, delicatamente. E soprattutto farlo sempre e solo con parole sue, carboni che bruciano ancora.

Isabel García Lorca, la sorella di Federico, mi ha raccontato che nel momento in cui lui scriveva Nozze di sangue erano a Granada, a la Huerta de San Vicente, la bella casa dove trascorrevano l’estate. A Federico era arrivato un disco di una cantata di Bach che faceva suonare al grammofono e che ascoltava ossessivamente per ore e ore tutti i giorni  finché un giorno glielo hanno nascosto… In Nozze di sangue c’è tanta musica, scritta anche da lui, che era anche un grandissimo musicista. Ha una sua geometria ma non è Bach. Viene piuttosto dal “cante jondo” che vuol dire canto scuro e profondo e che è una variante assillante del flamenco. E questa musica che c’è anche nel testo e che scorre come un fiume scuro bisogna farla sentire perché è quello che riempiva il suo corpo, la sua mano, il suo orecchio in un terra secca circondata dal mare. Nel meridione della nostra così detta civiltà.  In Andalusia o in Sicilia. Non c’è una grande differenza…». Lluís Pasqual

Durata dello spettacolo 1h e 10’

info: www. teatrodinapoli.it