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La Bohème di Giacomo Puccini con la regia di Emma Dante
Sul podio Francesco Lanzillotta
Nel cast Selene Zanetti e Vittorio Grigolo
In scena da venerdì 30 giugno alle 20
La Bohème di Giacomo Puccini con la regia di Emma Dante è in scena al Lirico di Napoli dal 30 giugno al 7 luglio con la direzione di Francesco Lanzillotta alla guida di Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo (quest’ultimo preparato da José Luis Basso).
Nei panni di Mimì si alterneranno Selene Zanetti (30 giugno, 2, 5, 7 luglio) e Carolina López Moreno (1 / 4 / 6 luglio) e in quelli Rodolfo Vittorio Grigolo, per la prima volta al San Carlo (30 giugno / 2 / 5 / 7 luglio) e Vincenzo Costanzo (1 / 4 / 6 luglio).
A dare volto e voce a Musetta saranno Maria Sardaryan (30 Giugno / 2 / 5 / 7 Luglio) e Laura Ulloa (1 / 4 / 6 Luglio) mentre Andrzej Filonczyk sarà Marcello.
Schaunard sarà interpretato da Pietro Di Bianco, Colline da Alessio Cacciamani e i ruoli di Benoît e Alcindoro saranno ricoperti da Matteo Peirone.
Completano il cast Andrea Calce (Parpignol), Antonio Mezzasalma (Venditore), Alessandro Lerro (Sergente), Sergio Valentino (Doganiere). Il Coro di Voci Bianche del Teatro di San Carlo è diretto da Stefania Rinaldi.
Le scene di questa produzione del Teatro di San Carlo sono di Carmine Maringola, i costumi di Vanessa Sannino, firma le luci di Cristian Zucaro, mentre la coreografia è di Sandro Maria Campagna.
“La bohème – afferma Emma Dante nelle note di sala – è una favola d’amore, sospesa, come nel dipinto La promenade di Chagall, dove l’innamorato tiene per mano l’innamorata che vola in alto leggera. Ma è anche una tragedia di malattia e di morte, un lungo calvario di povertà e di sogni infranti”.
Sette in tutto le repliche del capolavoro pucciniano in programmazione fino al 7 luglio.
Questa produzione de La Bohème torna in scena al Massimo napoletano dopo il successo dell’ottobre 2021 quando ad essere applauditi nei panni di Mimì e Rodolfo furono rispettivamente la stessa Selene Zanetti e Stephen Costello.
Prima della prima il 30 giugno alle ore 18 nella sede del MeMus, per la serie “Lezioni d’opera” il musicologo Dinko Fabris terrà una conferenza su La bohème di Giacomo Puccini, a ingresso libero (sarà possibile visitare la Mostra in corso su Dario Fo e Rossini).
Guida all’ascolto
A cura di Marco Bizzarini
Bohème, “vita gaia e terribile”
«Se tutto riesce bene quadrato e snello, perbacco!, mi pare dovrebbe escirne non solo un’opera nuovissima, ma una vera opera d’arte». Con queste parole, nell’estate del 1893, l’editore Giulio Ricordi si rivolse al drammaturgo Luigi Illica, impegnato con Giuseppe Giacosa nella problematica stesura del libretto per la futura Bohème di Puccini. Ma i lavori andarono per le lunghe e solo dopo due anni e mezzo, il 1° febbraio 1896, i tempi furono maturi per la prima rappresentazione al Teatro Regio di Torino, con la direzione di un Arturo Toscanini non ancora trentenne. Dunque ci volle infinita pazienza da parte dei due librettisti e altrettanta diplomazia da parte di Ricordi.
Puccini, allora soprannominato “il Doge” per le sue richieste continue e apparentemente capricciose, si era infervorato alla lettura delle Scènes de la vie de bohème di Henri Murger (1822-1861) e voleva a tutti i costi metterle in musica. La stessa idea, però, era venuta anche a Ruggiero Leoncavallo, il quale, con inoppugnabili testimonianze, rivendicò la priorità dell’iniziativa. Poiché il romanzo di Murger non era più coperto dal diritto d’autore, entrambi i musicisti avevano campo libero dal punto di vista giuridico. Fu lo stesso Puccini a lanciare il guanto di sfida al rivale partenopeo in una famosa lettera al direttore del “Corriere della Sera” del 21 marzo 1893: «Egli musichi, io musicherò, il pubblico giudicherà». Tutti conoscono il verdetto del pubblico e della storia. Si potrebbe perfino affermare che senza questa polemica con l’autore dei Pagliacci, forse La bohème pucciniana si sarebbe impantanata nelle continue liti tra il maestro e i suoi poeti. Invece, proprio l’impegno preso pubblicamente dal musicista con i lettori del quotidiano milanese agì da deterrente su una possibile rinuncia all’impresa, evitando che Illica, Giacosa e Ricordi facessero – come a un certo punto l’editore temette – «una figura proprio da minchioni».
Concepite in origine come romanzo a puntate per la rivista letteraria “Le Corsaire”, le Scènes di Murger (1848) ebberonel medio e tardo Ottocento un’immensa popolarità, anche grazie a un adattamento teatrale curato dall’autore stesso, ma tale successo non bastò a garantire al testo un posto stabile fra i classici della letteratura. Probabilmente oggi, se non fosse per l’opera di Puccini, una delle più rappresentate dell’intero repertorio lirico in tutto il globo, ben pochi ricorderebbero gli amori di Rodolphe per Mimi e di Marcel per Musette.
Si sa che in francese la parola bohémien significa “zingaro” perché tradizionalmente si pensava che il popolo nomade provenisse dalla Boemia, ma proprio all’epoca di Murger il termine bohème assunse l’odierno significato di vita scapigliata, condotta da giovani artisti al di fuori delle convenzioni sociali e della morale borghese, senza guadagni fissi e senza troppe preoccupazioni dinanzi a un futuro assai incerto. Quella era una vita «gaia e terribile» («vie charmante et vie terrible»), come giustamente la definì lo scrittore francese: una doppia e contrastante dimensione, ben riflessa anche nella partitura pucciniana.
La riduzione a libretto del romanzo era oggettivamente un compito arduo, soprattutto per l’assenza di una vera e propria struttura narrativa portante. Come suggerito dal titolo, si trattava per l’appunto di Scènes, ossia di racconti brevi, non sempre organicamente collegati l’uno all’altro, ma tenuti insieme nel nome dei quattro protagonisti maschili: il poeta Rodolphe (proiezione autobiografica dello stesso Murger), il pittore Marcel, il musicista Alexandre Schaunard e il filosofo Gustave Colline. Quando Ricordi, nella citata lettera del 1893, parlava di un’«opera nuovissima», lo faceva a ragion veduta: infatti, per la tradizione del teatro musicale italiano, un lavoro basato su un insieme di quadri narrativi, anziché sul regolare sviluppo e scioglimento di un nodo drammatico, costituiva una sfida audace. Per questo motivo, Giacosa e Illica vollero intitolare la loro elaborazione “Scene de La vie de bohème di H. Murger in quattro quadri”, dunque senza scomodare locuzioni come “dramma lirico”, “opera lirica” e simili.
Forse la straordinaria popolarità di cui oggi gode l’opera ci impedisce di cogliere pienamente la natura e l’importanza di tali novità, ma è chiaro che, per esempio, lo stereotipo melodrammatico del “tenore che s’innamora del soprano contro la volontà del baritono” era stato accantonato. Amore e gelosia rimangono ingredienti irrinunciabili, ma a sorpresa né Marcello né Schaunard, entrambi baritoni, assumono il ruolo di rivale in amore del tenore Rodolfo, poiché tra quest’ultimo e Mimì si frappone la misteriosa figura del Viscontino («le jeune vicomte» di Murger), che tuttavia nell’opera non canta mai ed è nominato solo di sfuggita nel terzo e nell’ultimo quadro.
Anche la presenza di ben sei personaggi principali – le due donne accanto ai quattro bohémiens – rappresenta un fattore apparentemente anomalo, la cui motivazione, più che nella fonte letteraria, affonda le radici nella secolare tradizione dell’opera comica. Si tocca qui un altro punto centrale della novità di quest’opera: il tentativo, perfettamente riuscito, di giustapporre l’elemento comico a quello tragico. Pochi capolavori nella storia del melodramma riescono infallibilmente a commuovere lo spettatore come La bohème, eppure la morte strappalacrime di Mimì, di cui la musica lascia presagire inequivocabili avvisaglie già nel primo e nel terzo quadro, s’inserisce all’interno d’un fitto tessuto di episodi da commedia, se non da farsa, come la scena in cui il grottesco signor Benoît giunge a reclamare l’affitto ma viene apertamente gabbato e sbeffeggiato dai quattro amici. Leggendo il libretto si ha poi l’impressione che “gli episodi drammatici e comici” – come scrivono Giacosa e Illica nella premessa – siano soppesati e distribuiti in proporzioni pressoché uguali, anche se la musica di Puccini, con le sue inconfondibili tinte melodico-armoniche, con il suo calore incandescente, tende a spostare il baricentro verso le zone più appassionate e patetiche. Tipico della contemporanea sovrapposizione di registri sentimentali e buffi, ma con un’opportuna sublimazione musicale, è il mirabile quartetto finale del terzo quadro in cui Rodolfo e Mimì si scambiano delicate espressioni liriche mentre Marcello e Musetta litigano trivialmente.
La lettura del testo originale di Murger è ancor oggi raccomandabile sia per prendere coscienza di come l’infallibile senso teatrale di Puccini abbia all’occorrenza preso le distanze da questa fonte, sia per illuminare alcuni dettagli del libretto. Nel personaggio di Mimì, come puntualizzano Giacosa e Illica, confluiscono due figure femminili di Murger: l’omonima Mimi e la più delicata Francine, entrambe destinate a morte prematura per etisia. Dal diciottesimo capitolo intitolato Il manicotto di Francine è ricavato lo spunto narrativo per la celeberrima scena di Mimì che bussa alla mansarde di Rodolfo dopo che le si è spento il lume. Ma mentre nell’opera di Puccini la fine di Mimì produce un impareggiabile sconvolgimento emotivo, nel romanzo l’episodio è trattato con una certa freddezza, tanto che Rodolphe, saputo della morte dell’amica, commenta in tono sorprendentemente distaccato: «È strano, non provo nulla, qui: che il mio amore sia morto quando seppi che Mimì doveva morire?». Si comprende, almeno in parte, tale reazione solo se si pensa che la Mimì di Murger era meno tenera, dolce, innocente e romantica dell’omonima eroina pucciniana.
Per il resto, tanti dettagli dell’opera derivano direttamente dallo scrittore francese: il quadro del Passaggio del Mar Rosso dipinto da Marcello mentre si leva il sipario, il giornale “Il Castoro” di cui Rodolfo è redattore, il caffè Momus nel Quartiere Latino, la chiassosa kermesse per il veglione di Natale, i libri e il pastrano di Colline, il manicotto con cui Mimì alla fine dell’opera si scalda le mani. Sono invece assenti in Murger particolari pittoreschi o spiritosi come la beffa al signor Benoît, i giocattoli di Parpignol, il ridicolo personaggio di Alcindoro e la scena dei doganieri alla barriera d’Enfer. Quanto al racconto di Schaunard nel primo quadro, in cui il musicista spiega agli amici come si è procurato il denaro per le provviste e la legna, l’antefatto si comprende più facilmente leggendo il capitolo diciassettesimo del romanzo, ove si narra che un lord inglese voleva a tutti i costi liberarsi del disturbo provocato dal pappagallo di una sua vicina. A tal scopo questo signore aveva chiesto a Schaunard di suonare incessantemente la stessa scala al pianoforte per tanti giorni di fila, sino a far impazzire la dirimpettaia e il suo molesto pennuto. «Ma Milord – osservò Schaunard – c’è un mezzo per sbarazzarsi di questa bestia: il prezzemolo; tutti i chimici sono unanimi nel dichiarare che questa pianta orticola è l’acido prussico per quegli animali». È questo il motivo per cui nell’opera Schaunard canta: “Gli propinai prezzemolo! / Lorito allargò l’ali, / Lorito il becco aprì / da Socrate morì!”. La spiritosa aggiunta del parallelo tra il prezzemolo e la cicuta, con citazione dell’antico sapiente greco, ha l’effetto di richiamare finalmente l’attenzione del filosofo Colline, tutto intento ad accendere il fuoco e a preparare le vivande.
Dal punto di vista della drammaturgia musicale sono almeno tre i modelli che Puccini dovette tenere in considerazione. Evidentemente, la triste sorte di Mimì ricorda da vicino quella della Traviata verdiana e lo stesso personaggio ideato da Murger, per quanto idealizzato nell’opera, non è poi così lontano dalla signora delle camelie di Alexandre Dumas. L’ultima opera di Verdi, Falstaff, andata in scena nel 1893, fornì un aggiornato e mirabile esempio per le scene d’assieme e incoraggiò la riforma delle strutture metriche tradizionali. Infine è ben presente, sia pur filtrato dalla tradizione italiana, il magistero del Tristan di Wagner nell’adozione delle forme aperte, nella predilezione armonica per le settime di sensibile, nell’impiego dei motivi conduttori e nel ruolo drammatico dell’orchestra. È singolare che Puccini, in una lettera a Illica, abbia scherzosamente denominato «Tod von Mimì» la morte della protagonista della Bohème, evocando indirettamente quella di Isolde. Ma in tutto questo, Puccini rimane sempre Puccini, e ciò che il maestro seppe ricavare dal gran lascito verdiano e wagneriano fu piegato per realizzare «non solo un’opera nuovissima, ma anche una vera opera d’arte». Un’opera che non finirà mai di sorprendere per la sua stringente logica compositiva e per la profonda conoscenza del cuore umano di cui è perfetta espressione.
Teatro di San Carlo
venerdì 30 giugno 2023, ore 20:00
sabato 1 luglio 2023, ore 19:00
domenica 2 luglio 2023, ore 17:00
martedì 4 luglio 2023, ore 20:00
mercoledì 5 luglio 2023, ore 18:00
giovedì 6 luglio 2023, ore 18:00
venerdì 7 luglio 2023, ore 20:00
Giacomo Puccini
LA BOHÈME
Opera in quattro quadri
libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, ispirato al romanzo di Henri Murger Scene della vita di Bohème
Direttore | Francesco Lanzillotta
Regia | Emma Dante
Scene | Carmine Maringola
Costumi | Vanessa Sannino
Luci | Cristian Zucaro
Coreografia | Sandromaria Campagna
Interpreti
Mimì | Selene Zanetti (30, 2, 5, 7) / Carolina
López Moreno (1, 4, 6)
Rodolfo | Vittorio Grigolo ♭ (30, 2, 5, 7) /
Vincenzo Costanzo (1, 4, 6)
Musetta | Maria Sardaryan # (30, 2, 5, 7) / Laura Ulloa # (1, 4, 6)
Marcello | Andrzej Filonczyk
Colline | Alessio Cacciamani
Benoît / Alcindoro | Matteo Peirone
Parpignol | Andrea Calce #
Venditore | Antonio Mezzasalma ♮
Sergente | Alessandro Lerro ♮
Doganiere | Sergio Valentino ♮
♭ debutto al Teatro di San Carlo
♮ Artista del Coro
# allievo Accademia Teatro di San Carlo
Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo
con la partecipazione del Coro di Voci Bianche del Teatro di San Carlo
Maestro del Coro | José Luis Basso
Maestro del Coro di Voci Bianche | Stefania Rinaldi
Produzione Teatro di San Carlo
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