Di: Sergio Palumbo

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All’ispettore Leonetti, in vacanza, quel lindo paesino delle montagne piemontesi sembra un posto da cartolina. Tutto sembra invogliarlo a lasciare finalmente la città per un ritorno alle origini: l’incanto della natura tra boschi e prati verdi; l’ospitalità della bella vedova, padrona della pensione dove alloggia, prodiga di premure materiali e sentimentali; il giovane prete che lo intrattiene con partite a scacchi e racconti sulle tradizioni e leggende locali. Ma anche là, dove pare debba regnare perenne la serenità, incombe la violenza omicida che si abbatte su personaggi diversissimi tra loro: una giovane potatrice di handicap, uno yuppie rovinato, un ragazzino immigrato. La mente dell’ispettore non resta in ozio, il suo istinto di poliziotto gli indica subito la pista che gli altri non vedono: l’impronta di un piccolo piede. E così, d’indizio in indizio, giunge al cuore del problema: uno dei tanti videogames dal contenuto delirante e sanguinario, di quelli purtroppo tanto diffusi presso i bambini e giovanissimi. Ad esso fanno curioso riscontro le leggende del paese, che favoleggiano di nani sapienti vissuti un tempo lontano e scomparse nelle viscere della montagna e di sacrifici umani consumati un tempo presso un possente megalite, che si dice sia stato un altare druidico. Ma la paziente indagine del poliziotto non riuscirà a salvare né l’amico prete né il giovanissimo figlio della donna amata, aguzzino e vittima di una follia omicida concepita dalla mente di un altro adolescente, sconvolta da antiche tare e frustrazioni. Ma il folle gioco minaccia di coinvolgere una schiera di bambini, allettati via computer con la promesse di varcare la favolosa porta che condurrebbe a un mondo migliore.

Chi sono questi Innocenti che affrontano ogni difficoltà pur di giungere là dove c’è il “varco” promesso? Sono i nostri figli, i figli dell’era del benessere e del progresso tecnologico, che non sanno che farsene dei nostri riti e miti e fuggono un mondo che l’ipocrita imbecillità degli adulti rende sempre più insopportabili. Sono i figli di madri ottusamente adoranti, che non sanno più trovare le parole di un vero dialogo. Sono i capri espiatori del più bieco consumismo, che costruisce le armi e le favole violente dei videogiochi e poi virtuosamente marcia per la pace. Sono le vittime predestinate della disperata follia di un tempo che pare così razionale, che costruisce i più sofisticati marchingegni, ma distrugge ogni appiglio per l’anima bisognosa di altre certezze.

Il romanzo di Binaghi, che alletta con la fluida gradevolezza dello stile, è in realtà un pugno nel stomaco che induce a meditare, senza la sciocca illusione che la fantasia dell’autore non ci riguardi.

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