Di: Sergio Palumbo

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Due strani detective, quelli di Sandrone Dazieri e di Daniele G. Genova.

L’uno, Pinocchio, uomo di pochi scrupoli, condivide per molti versi la sadica violenza dell’ambiente criminale contro cui opera. Si muove ai margini di un mondo ambiguo e corrotto di scottante contemporaneità: le manifestazioni pro e contro la TAV, con le degenerazioni criminali del neonazismo nostrano.

L’altro, Libero Corti, è un uomo sfigato, marito abbandonato e padre assente, senza soldi e con poca voglia di solerzia professionale, succube degli insulti più elementari della corporeità. E’ alle prese con uno strano caso di tre morti che, pur sicuramente collegate, sembrano però non trovare precisi rapporti di tempo e di causalità che li spieghino. E intorno a lui un mondo provinciale di piccole e grandi miserie quotidiane, dove anche il delitto nasce da una banalità così sconcertante da diventare tragicomico. Allora il finale non può essere che una bella bevuta, che cancelli dalla mente tutto il presente e tutto il passato.

Il linguaggio crudo e senza orpelli è perfettamente intonato alle atmosfere cupe e violente e agli ambienti sporchi e miserabili dove le uniche costanti sembrano la degenerazione dei sentimenti e dei valori.

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