Di: Sergio Palumbo

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“L’ora blu” consta di due lunghi racconti di autori differenti, ma che sono l’uno il seguito dell’altro. La cifra che li distingue è dunque la stessa, pur con qualche diversità di stile: più teso e vibrato quello di Gianfranco Nerozzi, più vicino alla quotidianità quello di Andrea Cotti. Ma la vicenda è quella dei thriller surreali, dove gli eventi perdono in plausibilità ciò che acquistano in suggestione misteriosa e irrazionale.

La trama è scandita dal ritmo di una inquietante canzoncina infantile che esprime l’ancestrale terrore dell’uomo nero – il Carbonaio – e dell’ora buia, quella che precede l’alba, quando la notte al suo culmine acquista sfumature di blu: l’ora in cui i malati gravi muoiono e ogni più terrificante fantasia sembra poter prendere corpo. Fantasia macabra, appunto, in cui è inutile cercare significati metafisici o metaforici di qualsiasi genere, ma che tiene tesa l’attenzione del lettore fino all’ultima pagina. Questa non ci offre soluzioni all’enigma iniziale, che Cotti sembra rimandare alle tradizioni magiche delle genti di montagna per cui le forze misteriose del male, che si scatenano nell’ora blu e uccidono i neonati nelle culle, sarebbero comunque necessarie all’equilibrio dell’universo, come il buio che esalta la luce.

Una lettura piacevole, dunque, senza pretese didascaliche ma di pregevole fattura nel suo particolare genere.

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