Di: Alessandra Staiano

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Allegra e appassionata come Neda che a 26 anni ama cantare e scende in piazza con il suo maestro di musica e migliaia di persone in quella che il mondo ha conosciuto come la rivoluzione verde in Iran. Timida e riservata come Hanifa che a 16 anni scopre di essere stata venduta dalla sua famiglia a un uomo assai più vecchio di lei, così come capita spesso in Afghanistan anche a ragazze più piccole, praticamente bambine. Solare e determinata come Rose, 25 anni, cresciuta in una capanna di legno e lamiere, che in Kenya ama il suo “lago rosa” il Naivasha dove i fenicotteri vanno a riposare e sulle cui sponde lei va a sognare.
Claudia Campagnola, protagonista unica di “La Città di plastica” di Silvia Resta e Francesco Zarzana per la regia di Norma Martelli, appare così agli occhi di chi assiste a questo spettacolo che racconta la storia di tre donne provenienti da tre angoli diversi del mondo e che è andato in scena mercoledì 31 luglio 2013 nel cortile del suggestivo Palazzo Acampora, nell’ambito del Festival dell’Alta Costiera Amafitana “Agerola, sui sentieri degli Dei”. O meglio, appare così all’inizio della narrazione di ciascuna delle tre storie che, nel giro di poche battute, svelano tutto il loro dramma. Neda è la studentessa iraniana uccisa a Teheran durante le proteste divampate dopo le elezioni presidenziali di Ahmadinejad nel 2009: la sua morte verrà ripresa in diretta da un video amatoriale ripreso con un telefonino, la scena indignerà il mondo e il suo nome (che in persiano significa “voce”) diventerà un grido di protesta per i dissidenti iraniani. Hanifa sceglierà di darsi fuoco, in modo da sfigurarsi e non essere più “vendibile”, trovando così nella sua mortificazione fisica la strada verso la libertà. Rose resterà intossicata dai fertilizzanti chimici usati dalla multinazionale sbarcata a coltivare fiori che si chiamano come lei sotto serre incandescenti, fatte di tendoni di plastica, che accerchiano il lago, ne succhiano l’acqua limpida per poi sputarne veleni, riducendolo a una fanghiglia melmosa. Storie lontane geograficamente scelte dagli autori- Silvia Resta è una giornalista che ha conosciuto dal vivo Rose e Hanifa- seguendo come filo conduttore il coraggio di donne che, loro malgrado, hanno dovuto combattere la dittatura della politica, della famiglia, del capitalismo più violento. Testo impegnativo da teatro civile. Scelta assai coraggiosa, portarlo in scena durante l’estate, sebbene nell’ambito di un festival d’eccellenza come quello che si sta svolgendo ad Agerola. Tant’è che la stessa regista, Norma Martelli, era titubante sulla messa in scena in questa stagione. Retroscena svelato alla fine dello spettacolo dal sindaco Luca Mascolo. «Quando l’ho visto alla manifestazione nazionale dei comuni virtuosi- ha spiegato il primo cittadino- ho voluto fortemente che fosse nel nostro festival, Norma era indecisa. L’ho convinta dicendole che in estate non si spegne il cervello». Sacrosanta verità che sarebbe auspicabile fosse esportata anche oltre Agerola.