Di: Sergio Palumbo

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L’umore di Montalbano è grigio come il cielo che sopra Vigata e l’intera Sicilia scarica fulmini e acqua “a tinchitè”, tutto sommergendo in un mare di fango. L’amata e lontana Livia da un po’ di tempo sembra aver perso gioia e voglia di vivere, mentre mille piccoli e fastidiosi segnali suggeriscono al commissario l’approssimarsi della vecchiaia, con le inevitabili limitazioni alla dinamica dell’esistenza. Così, quando l’ennesimo morto ammazzato dà il via a una nuova indagine, per Montalbano è solo fastidiosa routine, affrontata di malavoglia e senza interesse. Ma poi, quando certi curiosi particolari – un morto scalzo e seminudo che, ferito a morte e sotto la pioggia, va in bicicletta a morire in un cantiere fermo – aprono scenari impensati, è ancora una volta l’indignazione morale che scuote dal profondo il commissario e ancora una volta lo motiva nella sua azione, al solito coraggiosa fino alla temerarietà e incurante del pericolo.

E’ il consueto scenario del malaffare quotidiano che sembra ormai radicato come un cancro nelle visceri del nostro paese, fatto di appalti truccati e di costruzioni tirate su con i materiali più scadenti per lucrare sulla pelle degli utenti, di denaro sporco riciclato in mille modi, di una mafia sempre più aggressiva e di politici conniventi, che usano il loro potere per arricchirsi alla faccia delle istituzioni e della gente che dovrebbero tutelare. Il fango che copre la cittadina e si accumula quasi a formare piccole montagne è la metafora, il materializzarsi di quell’altro fango ancor più sozzo che le azioni umane producono, quando si siano dimenticati ogni remora morale e ogni senso di umanità, a tutto anteponendo la sete di denaro e di potere.

Ma c’è ancora uno spiraglio di sereno, tra le crepe del fango spunta qualche timido stelo verde. Ci sono ancora coscienze sane e magari hanno il candore imbranato di Catarella o il piglio energico del bravo Fazio, gli uomini con cui Montalbano arriva ogni volta ad affermare, contro ogni avversità dei tempi e dei costumi, la sua voglia di giustizia e di solidarietà umana, contro la corruzione e le soperchierie dei delinquenti e dei sepolcri imbiancati loro complici, ancor più pericolosi e disumani.

La malinconia che si avverte in questo più che in altri romanzi, che hanno a protagonista il commissario siciliano, sembra suggerita dall’autore non solo dalla parabola umana del suo personaggio, ma soprattutto dalla realtà delle vicende nazionali e dalle brutture della vita sociale e politica del nostro paese, tante volte adombrate nelle storie di Montalbano. Da ciò il sapore di contemporaneità che caratterizza “La piramide di fango”, dove perfino gli svarioni di Catarella non riescono a farci sorridere e a stemperare l’amaro che, a racconto finito, ci resta in bocca.
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