Di: Maresa Galli

Tempo di lettura stimato: 2 minuti

“A volte ritornano!”: è il titolo della sezione degli spettacoli teatrali ideata da Giulio Baffi per la Stagione del Sannazaro che consente al pubblico di rivedere o assistere per la prima volta ad ottimi lavori già andati in scena. Il gradito ritorno, in questo caso, è quello di “Interiors”, lo spettacolo di Matthew Lenton che tanto successo ebbe al Napoli Teatro Festival del 2009. Al Teatro Sannazaro in scena il nuovo allestimento del pluripremiato spettacolo ideato e diretto dal regista inglese, una creazione originale della compagnia teatrale Vanishing Point di Glasgow, fondata e diretta da Lenton. “Interiors”, prodotto in esclusiva per l’Italia da Tradizione e Turismo – Centro diProduzione Teatrale ed Ente Teatro Cronaca Vesuvioteatro, è ispirata da “L’Intérieur” di Maurice Maeterlinck che racconta il dramma di un anziano che guarda da una finestra la vita di una famiglia alla quale è venuto a portare la terribile notizia di un lutto: cosa succederà? Da una grande vetrata si osserva una cena di famiglia. I personaggi ideati da Lenton sono amici e conoscenti che vivono in una città del Polo Nord, e si ritrovano a cena a casa di Sergio nella terribile, gelida notte più lunga dell’anno, dalla neve copiosa e popolata da orsi. I bravi attori in scena che partecipano alla grande cena-metafora conservano i propri nomi: Segio Di Paola, Ingrid Sansone, Clara Bocchino, Giuseppe Brunetti, Ivan Castiglione, Rebecca Furfaro, Lucienne Perreca, Giorgio Pinto. Entrano ad uno ad uno, armati, per paura di essere aggrediti dagli orsi, gli amici a casa di Sergio e si ode solo il sibilo del vento. Il pubblico, voyeur, spia intrecci e storie d’amore, di passione, apprende notizie di morte, di vita, futilità e notizie serie, assiste a giochi e a battute, equivoci e gaffe, a balli e ad abbracci – nel silenzio rotto dalla voce narrante di una ragazza (Clara Bocchino), forse la figlia morta di Sergio, che spia anch’essa le vite all’interno della casa – dapprima il pubblico ne ode solo la voce, poi la ragazza si materializza e spia anch’essa nel salone della cena. Ben disegnato lo spazio scenico da Francesca Mercurio, le musiche e il sound designdi Alasdair Macrae. Scene vivaci, costruite da scambi di pietanze tra i commensali, sono raccontate dall’ottima mimica e bravura degli attori che evocano gag e situazioni del cinema muto, e a tratti si ascolta un frammento di una canzone pop di successo per riscaldare la serata, malinconica, triste nonostante le risate e le battute degli ospiti. Nel breve lasso di tempo della serata nascono e muoiono amori, si consumano tragedie, si spezzano unioni, si intravedono futuri di morte. L’interiorità è quella ambivalente di essere/non essere, dentro/fuori, solitudine/moltitudine, realtà/iperrealtà, eros/thanatos, vita/morte. Guardare non esime dal partecipare alle altrui vite, specchio deformato delle proprie esistenze. La vita va letta come qualcosa di impalpabile, un battito d’ali, una folata di vento, un momento da cogliere nei piccolissimi eventi e nei piccoli particolari. Vogliamo tutti essere amati, combattere il gelo polare, metafora di solitudine e lutto inevitabile, il mondo cattivo “fuori”, l’inconsistenza di contro la pretesa di eternità. “Le persone se ne vanno sempre”, pensa Sergio con rammarico – l’ineluttabilità della fine. Un ottimo lavoro che emoziona, da vedere e rivedere.