Di: Sergio Palumbo

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Sull’esempio del loro padre, i fratelli Sacco sono persone oneste e laboriose. Si sono riscattati dalla schiavitù del bracciantato, alla mercé del padrone e dei suoi campieri, con pazienza, intraprendenza e un pizzico di fortuna. Hanno raggiunto una certa agiatezza, lavorando con coscienza e, memori delle iniziali difficoltà, non negando aiuto a chi ne ha bisogno. Nel paese di Raffadali sono conosciuti e ben voluti, ma la loro posizione attira presto l’attenzione di chi tutto pretende di controllare e dominare: la mafia. La piovra sanguinaria che infesta la vita pubblica siciliana non lascia scampo a chi prende di mira, perché lo Stato, per collusione o impotenza, lascia indifeso il cittadino che alle istituzioni chiede giustizia o protezione. Inutile denunciare minacce, taglieggiamenti, danni a cose e persone, fino all’omicidio del vecchio patriarca Luigi Sacco. L’omertà, determinata da paura o tornaconto, chiude le bocche o le fa aprire per denunciare il falso. Siamo nel primo ventennio del Novecento e il fascismo, in ascesa a livello locale, trova spesso appoggio in elementi della mafia. I Sacco, da sempre socialisti, sono anche per questo un bersaglio preferenziale. In tali situazioni si può restare nella legalità? Ma, pur costretti a darsi alla macchia e a reagire con le armi agli attacchi mafiosi, i Sacco non colpirono mai le forze dell’ordine. Presi di mira dal prefetto di ferro Mori, dato che Mussolini aveva deciso di debellare la mafia per rafforzare il proprio prestigio, furono bollati come la famigerata “banda Sacco” e sottoposti a un processo dall’esito ovviamente scontato. In carcere, però, conobbero Umberto Terracini ed Antonio Gramsci e Terracini, in particolare, si interessò alla loro storia e, dopo la caduta del fascismo, cooperò alla loro liberazione.

Andrea Camilleri racconta la vicenda della “banda Sacco” con l’indignazione di chi vede stravolto da troppo tempo, nella propria terra, l’ordinato svolgimento della vita civile e calpestato ogni senso di umanità ed ogni valore ad esso connesso. Il rispetto delle istituzioni impone il ripudio della violenza, ma si può condannare chi all’uso della forza fu costretto per poter sopravvivere e conservare la propria dignità? Piuttosto, la vera violenza non è forse quella che i prepotenti e lo Stato succube o complice esercitano sugli onesti, proprio a motivo della loro onestà? Lo scrittore evidenzia con compiacimento la simpatia e gli appoggi di cui i fratelli Sacco godettero presso i paesani, che da loro si vedevano liberati dai mafiosi. La vicenda dei Sacco assume così toni da epopea leggendaria, quasi un western alla siciliana che riscatta la Sicilia agli occhi del mondo. Non c’è solo da compatire gli innocenti martoriati, come i presunti “untori” della manzoniana “Colonna infame”, ma si può avvertire un fremito di fierezza per questi piccoli che sfidano impavidi un mostruoso Golia e, se non lo abbattono, non se ne lasciano abbattere e, pur tra mille travagli, sanno conservare uno spirito indomito.

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