Di: Sergio Palumbo

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Nella città di colui che immaginò l’inferno in un aldilà cristiano, dove per ogni colpa c’è il corrispondente castigo, si agitano specie (o sottospecie?) di umanità che hanno già sulla terra un suo più subdolo e terribile inferno, per cui colpa e castigo sono spesso una cosa sola.

Marco Vichi ed Emiliano Gucci, nei loro racconti “Cucina a domicilio” e “Gang bang”, ci descrivono questo mondo della borghesia fiorentina più o meno alta, che sembra non avere altri fini che il soddisfacimento di istinti primordiali, dilatati fino a farne meta e ragione dell’esistenza: la gola, il sesso, il sadismo che vi mescola lo sfrenamento della violenza. Denaro e potere sono ovvii corollari, in quanto mezzi per ottenere tutto questo.

Alla più bestiale depravazione corrisponde però una spettrale sensazione di vuoto e di morte, che spesso si concretizza in una esecuzione orrenda e altrettanto bestiale quanto lo fu la colpa che armò la mano vendicatrice. La sensazione finale del lettore che si affaccia su questo mondo marcio, ben rappresentato anche dal turpiloquio che lo distingue, è di sdegno e di tristezza, come davanti al disfacimento di un’illusione di bellezza e di spiritualità che la città di Dante forse conserva ancora nell’immaginario di tanti.

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